La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Scuola tra docenti impotenti senza autorevolezza e autorità in una lotta per la sopravvivenza

I tempi del grembiule, delle bacchettate, delle punizioni dietro la lavagna o di altre amenità sono finiti da un pezzo come la scuola dell'ordine e della disciplina. Forse il grembiule potrebbe ritornare, o anche no, ovviamente non devono trovare alcuna dimensione e spazio violenze psicofisiche all'interno della scuola. Ma nel giro di un paio di generazioni che sono coincise da un lato con l'avvento di internet che ha tolto ogni freno inibitorio e dall'altro della scuola trasformata in luogo dove i docenti hanno perso ogni autorevolezza ed autorità, dove non contano più niente, non hanno più alcun potere, salvo qualche caso raro di abuso di mezzi di correzione e violenza che comunque vengono sanzionati a dovere ed utilizzati per demonizzare una intera categoria presa letteralmente a schiaffi ogni giorno, si è realizzato il disastro pieno. 

La scuola deve solo "vendere" un prodotto, che è il titolo di studio o diventare luogo di ammortizzatore sociale. Inseguiamo il modello fallimentare delle competenze in stile americano proprio nel momento in cui in America questo modello di scuola lo stanno mettendo profondamente in discussione perchè semplicemente fallimentare pensando di ritornare alla scuola che insegna a pensare, ad essere cittadino consapevole, quello che in Italia non si vuol più fare.  Siamo nella società del rispetto pari a zero. Con le famiglie elevate a rango di utenza, e come un noto detto ricordava, il cliente ha sempre ragione, ed a questo cliente tutto è dovuto. E le conseguenze le vediamo quali sono, conseguenze che portano a casi estremi dove sono anche esponenti delle famiglie stesse ad aggredire i prof.

Le soluzioni non sono solo repressione, bocciature e punizioni, non basterebbero. Una buona espressione delle generazioni di oggi sono dei mostri dal punto di vista comportamentale, irrispettosi di tutto, nulla di straordinario, figli della nostra società, del nostro tempo, di cui sono la prima espressione e la scuola ne è diventato il perfetto contenitore dove poter sfogare la propria frustrazione esistenziale o famigliare. Tutto è concesso oggi ed il docente, chiusa la porta della classe, in quello spazio con 30 studenti è solo.

Un tempo non fiatava neanche una mosca quando entrava un docente, oggi lo avvolgi con il nastro adesivo, gli lanci addosso secchi dell'immondizia, lo prendi a calci, senza dimenticarci che nella scuola la quasi totalità del personale è femminile ed esiste una questione di genere che non è mai stata affrontata a dovere ed abbandonata a se stessa. Una soluzione non esiste e se ci fosse il proponente farebbe bene a farsi pagare. Altro non rimane che cliccare sul video che dimostra l'impotenza della scuola conquistata da belve, indomabili, che commentare l'ennesimo caso di impotenza, di spendere i soliti fiumi carsici o non carsici di bla bla bla e continuare così, in quella che oramai è diventata una lotta per la sopravvivenza che non conosce più alcuna dignità.

Marco Barone

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