La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Il peso delle parole nelle due Italie su Giulio Regeni


Che non tutte le parole fossero uguali lo si sapeva. Dipende cosa si dice, come lo si dice e soprattutto chi lo dice. Se un comune cittadino dice che l'Italia delle stragi, della strategia della tensione, divorata dalla mafia, massoneria deviata, corruzione e clientelismo becero, non può pretendere verità da Paesi che hanno massacrato i propri cittadini o dove sono stati massacrati dei propri cittadini, è un dato di fatto che scalfirà per qualche attimo la riflessione, il momento fatidico della tua quotidianità. Poi, come la vita comanda, o non comanda, riprendi il tuo percorso, con la spada di Damocle di quell'ingiustizia che giorno dopo giorno peserà sempre di più sulla tua coscienza. Perchè comprenderai che vivere in un Paese i cui rappresentanti eletti "democraticamente" se ne fottono della verità, della giustizia, di tutelare l'onore e la dignità di un proprio concittadino che ha perso la vita in quello che potrebbe essere un classico omicidio di Stato, che si chinano agli affari di stato della moneta, perchè la dignità non è affare di stato, e la verità e la giustizia possono pure essere sacrificate, tanto il tempo rimuove tutto e la macchia della vergogna diventerà sempre più piccola, fino al prossimo caso che accadrà in qualche altro luogo e altra circostanza, significa vivere in un Paese che non merita la sua libertà, la sua democrazia. Quando ad affermare certi concetti che altro non sono che verità storiche sono persone dello stato, che esercitano funzioni dello stato, queste vengono bastonate, richiamate all'ordine, alla disciplina della non verità, del compromesso, del silenzio. Perchè non in linea. Ma che Paese è un Paese che non è in grado di pretendere verità e giustizia per un proprio cittadino massacrato in modo talmente bestiale e feroce che al solo pensiero vengono i brividi? Un Paese che può prestarsi solo ai peggiori insulti. Però, senza cadere nella banalità della generalizzazione, il caso di Giulio, ha insegnato a tutti noi, in modo effettivamente eloquente che esistono due Italie. Quella di chi dovrebbe rappresentare il Paese e si è chinato al compromesso della non verità, e quella della base del Paese, che è la vera anima dell'Italia, che, dal profondo Sud al profondo Nordest, ha colorato di giallo un piccolo o grande angolo della propria vita, perchè rifiuta la resa per quella verità e dignità che andrà conquistata. Perchè questa volta si vuole dire semplicemente basta. Non se ne può più di non verità e riuscire ad ottenere quella per Giulio significa spalancare un portone per tutte quelle che oggi si trovano ancora sommerse dal fango della menzogna di stato.
Marco Barone

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