Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Ronchi, un comune da 12 mila abitanti con tre stazioni dei treni, ma non è tutto oro ciò che luccica

Ronchi sud, la cui stazione non è operativa, è costruita sulla linea Venezia Trieste, e dispone di tre binari passanti e di un modesto scalo. Ronchi nord, un tempo Ronchi- Vermegliano, da tre binari, ne funzionano solo due e da poco tempo è senza più personale. Ma a cinque minuti da Ronchi nord vi è la stazione di Monfalcone. Ora, cosa accade? Come è noto l'unico scalo aeroportuale del FVG si trova a Ronchi, costruito qui e non a Trieste, dove era stato pensato in un primo momento, anche per le problematiche dovute alla forza della bora. Uno scalo che in Italia viene considerato come secondario, e che è soffocato dalla concorrenza di Venezia e Treviso e non solo. Pochi voli, pochi passeggeri, e molti, visti i numeri non edificanti ne chiedono anche la chiusura, perchè sarebbe uno sperpero. Personalmente non sono mai stato favorevole alla chiusura del nostro scalo, che va difeso, e potenziato. E soprattutto deve continuare a rimanere in mano pubblica. Ma sorge il sospetto che dopo una prima quota importante di investimenti per lo scalo, che come è noto ora si chiama Trieste Airport, con la creazione del PIM, polo intermodale, si stia creando un pacchetto bello e buono edificato con soldi pubblici per poi vendere il tutto al migliore offerente. Il PIM era proprio necessario? Si ha la sensazione che rischia di fare la fine degli stadi costruiti per le olimpiadi in luoghi pazzeschi. Cemento, opere faraoniche, esteticamente discutibili, per uno scalo che non riesce a decollare. Di norma avviene il contrario, come vorrebbe il buon senso. Quando uno scalo decolla, e necessita di investimenti a sostegno della sua crescita, si può ragionare sulla piccola o grande opera. Non è una questione di essere preventivamente contrari a certe opere, ma bisogna interrogarsi sulla reale necessità di queste opere. La terza ipotetica stazione di Ronchi servirà a collegare i passeggeri con lo scalo, per giustificare ciò si sono usati termini romantici, evocativi, come ponte con l'Europa centro orientale. Ma la distanza tra lo scalo di Ronchi e la stazione Ronchi nord, ora casualmente depotenziata, è di soli 6 minuti. Con Ronchi sud, idem. Con Monfalcone di 12 minuti. Non bastava potenziare l'esistente investendo quelle risorse, 17 milioni di euro, a favore del trasporto pubblico urbano che avrebbe potuto collegare il nostro scalo con le stazioni già esistenti? E magari rimetterle in vigore anche dal punto di vista estetico e funzionale? Così come il fatto che la terza stazione di Ronchi dovrebbe essere funzionale all'alta velocità che qui non si potrà mai fare. Scavare e bucare il Carso, oltre che una bestialità, sarebbe una mera assurdità anche dal punto di vista tecnico. Insomma Ronchi avrà un record tutto suo, un suo primato, ma non so quanto si possa essere orgogliosi di tutto ciò in una provincia dove la disoccupazione è alle stelle, e dove non saranno queste opere a smuovere le cose, perchè i posti di lavoro saranno provvisori, mentre qui vi è la necessità di una programmazione a lungo termine, di una diversa progettualità del territorio, che di potenzialità ne avrebbe a migliaia, a partire da quella miscela unica che ci ha regalato la natura, Carso, Isonzo, Adriatico. Ma la logica delle grandi opere ha preso piede anche qui da noi, e se ne prende atto, così come si vorrebbe comprendere se il patto di legalità finalizzato a contrastare in via preventiva le infiltrazioni mafiose, vista la rilevanza attrattiva economica dell'opera in fase di costruzione, sia stato realizzato o meno. 

Marco Barone

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