Non è stato quello di Trieste l'unico caso, politico, quale quello di non concedere la sala matrimoni alle unioni civili. Ve ne sono stati altri in Italia. Ed arrivano le prime sentenze che, come era auspicabile, iniziano a costituire le basi per quell'orientamento che proprio attraverso la giurisprudenza potrà sanare e contrastare le eventuali ambiguità di una legge imbarazzante, per le sue omissioni e per come scritta, quale la "Cirinnà", che ha favorito, proprio a causa della sua struttura, interpretazioni fuorvianti e concilianti con la negazione di diritti basilari. Nei primi giorni di dicembre 2016 il TAR del Veneto "considerato che ad un sommario esame degli atti il ricorso appare assistito da fumus boni juris, in quanto il Comune di Padova non ha fornito adeguati elementi a giustificazione delle proprie scelte in ordine a giorni e luoghi dedicati alle dichiarazioni di costituzione delle unioni civili, atti a fugare i sospetti di un intento discriminatorio" ha sospeso il provvedimento con il quale si creavano disagi e discriminazioni alle unioni civili.
Il 29 dicembre arriva il TAR Lombardia, Sezione staccata di Brescia, il quale ha annullato la delibera della Giunta del Comune di Stezzano del 27 settembre scorso, nella parte in cui aveva confinato la costituzione delle unioni civili nell'Ufficio dei Servizi demografici, escludendole dalla Sala di rappresentanza del Municipio deputata alla celebrazione dei matrimoni.
Caso praticamente identico a quello di Trieste. Ed il Comune è stato condannato a pagare delle spese legali salate, oltre 4 mila euro che peseranno sulle tasche della collettività a causa di un provvedimento scellerato del Comune.
Cosa ha detto il TAR? Due cose importanti. La prima che con la l. 76/2016 il legislatore italiano non ha percorso la via del matrimonio egualitario (pure intrapresa da diversi paesi europei) e ha optato, invece, per la soluzione presente in altri paesi europei, i cui ordinamenti contemplano un istituto analogo al matrimonio, ma da esso formalmente distinto (partnership variamente denominate, che nella legge 76 sono state definite “unioni civili”)(...) ma essendo identica tra matrimonio e unione civile la natura giuridica dell’atto costitutivo, la vis espansiva del comma 20 non può non estendersi al momento genetico dell’istituto, in modo da assicurare sin dall’origine e sin dal suo sorgere quella “parificazione”, pur nella distinzione delle relative e specifiche discipline positive, della nozione di coniuge con quella di persona unita civilmente, parificazione già individuata da Cass. Pen. n. 44182/2016".
Il secondo principio che ha affermato è che "Nel caso della legge n. 76/2016 l'obiezione di coscienza non è stata introdotta; e, anzi , dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’obiezione di coscienza sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge. Del resto, quanto al riferimento alla “coscienza individuale” adombrato per invocare la possibilità di “obiezione”, osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo oggi in esame, pone gli adempimenti a carico dell’ufficiale di stato civile, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco." Come si suol dire, uomo avvisato, mezzo salvato.
Marco Barone
Aggiornamento del 23 gennaio 2017
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