Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Dal trio Saba, Svevo Joyce a Trieste, passando per Matos a Zagabria e Dalla a Bologna

Nella indimenticabile disperato erotico stomp, cantava Lucio " Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino mi guarda con la faccia un po' stravolta e mi dice: "Sono di Berlino".  

Bologna città a dimensione umana, ma nello stesso tempo città multiculturale, e cosmopolita, che vorrebbe essere metropoli nel suo essere grande paese e non è mica una offesa ciò. Nel centro di Bologna a pochi passi dalla grande incompiuta, la Basilica di San Petronio, per un breve periodo è stato possibile vedere la statua in bronzo dedicata all'amico Lucio. Lui con il suo tipico stile, braccio disteso, sorridente e con in mano un sacchetto aperto. Non so perché, diciamo così, ma in mente mi viene una di quelle pubblicità che si possono vedere in TV che sponsorizzano una nota marca di patatine. Chissà cosa avrebbe detto Lucio di quella statua. Oggetto di culto virtuale, con i canonici ed immancabili selfie. Anche un cane era seduto vicino a Lucio. Forse aspettava che la statua prendesse vita? e che Lucio offrisse al grande e possente cane nero una patatina? E non voleva andare via quel cane al richiamo del padrone. E pensi alla prima volta che hai incontrato Lucio a Bologna. D'altronde tutti quelli che hanno vissuto a Bologna racconteranno quella volta che hanno visto Lucio Dalla per le sue strade, o Gianni Morandi o Francesco Guccini. 
Non è difficile entrare in qualche trattoria tipica e vedere foto con Lucio o Gianni o Francesco. Li chiamo per nome, con tale confidenza, perché è come averli conosciuti di persona nella Bologna che vive tanto di ricordi e fatica ad accettare il nuovo corso moderno che ne stravolge l'autenticità nell'austerità dei diritti sociali, nella globalizzazione che ammazza ogni dissenso. 
Camminava pensoso quella sera d'inverno Lucio nella vicina Piazza Santo Stefano. E se non ricordo male portava a spasso un piccolissimo cane. Pensoso come come James Joyce sul Ponterosso in via Roma a Trieste, e seduto sulla panchina come Antun Gustav Matos  lungo il viale Strossmayer a Zagabria. Esiste oramai una "moda" dedicare ai grandi della propria città, con l'intento di immortalarli attraverso la fisicità nel secolo dell'universo virtuale, una statua a dimensione umana, in una posizione tipica di quel personaggio, tra chi fuma la pipa, come Saba a Trieste e chi intento a fare altro, o semplicemente fermo a guardare, come Svevo sempre a Trieste. Non ho conosciuto Lucio, ma lui seduto sulla panchina, sorridente, sicuramente accogliente, con quel sacchetto aperto mi lascia a dir poco perplesso, come perplesso era quel cane, che attendeva, invano, del cibo,forse, che non arriverà. Forse è un bene che quella statua con la panchina sia sparita, anche se pare che una copia sia in lavorazione. Vedremo.
Marco Barone  @ilKontrastivo

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