Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Il fascismo oggi tra memoria reticente e memoria rivendicata

Nella sera del 24 marzo, presso la sede ANPI di Monfalcone, si è svolta la presentazione del libro il razzismo fascista, Trieste il 18 settembre 1938 edizione Storia Kappa VU. Alla presentazione del libro è seguita una discussione a dir poco interessante specialmente per quanto riguarda la questione della memoria. Non parlerò della memoria condivisa, e neanche di tutto ciò che si oppone ad essa, ma incentrerò la riflessione che ora segue su due tipi di memoria, correlate in particolar modo a come il fascismo è stato percepito, vissuto, contrastato. 
Memoria che varia dall'Est d'Italia al Sud d'Italia. Due, a parer mio sono i casi emblematici, passando per il mezzo di Torviscosa. 

A Trieste ci son voluti più di settant'anni per collocare una targa che ricordasse l'infamia delle Leggi Razziali del 18 settembre 1938. Nel 2013, duecento persone lì ove il 18 settembre 1938 Mussolini innanzi a duecentomila persone annunciava le infami leggi Razziali, lì accanto alla fontana dei Quattro continenti, che in quel nefasto anno venne rimossa per liberare la piazza da ogni fisico e materiale ostacolo alla proclamazione dell'infamia del Regime. venne inaugurata la targa che ricordava tale nefasto evento. 
Ma penso anche alla Risiera, nella targa illustrativa collocata all'esterno dalla Provincia, si leggerà in particolar modo che “(..)Nella notte fra il 29 ed il 30 aprile 1945 il forno crematorio e la ciminiera vennero fatti saltare con la dinamite dai nazisti nella convinzione di poter cancellare le prove dei loro crimini.Rimasero però le pareti delle celle su cui erano visibili le scritte, ora ormai quasi illeggibili, lasciate dai prigionieri. Queste preziose testimonianze furono trascritte da Diego de Henriquez nei sui diari ora conservati nel Civico Museo di guerra per la pace che da lui prende il nome. Dichiarata Monumento Nazionale nel 1965(...)". 
Ma si omette un passaggio fondamentale. I nazisti fecero saltare in aria buona parte di quella struttura stante l'arrivo in città dei partigiani Jugoslavi, che liberarono Trieste dall'occupazione nazista e furono i primi ad entrare in Risiera, salvando buona parte del materiale ivi raccolto e conservato presso l'archivio di Lubiana. Fatto praticamente poco noto e completamente omesso in quella targa. Sarà grazie all'operato di un giornalista sloveno del Primorski, Albin Bubnic, all'operato dell'associazione nazionale ex deportati, dell'Istituto per la storia del movimento di liberazione del FVG, della comunità israelitica di Trieste ed altre realtà antifasciste che la vicenda del lager emerse a livello nazionale con forza seppur lentamente.
A livello locale le prime manifestazioni vennero fatte dalle donne dell'UDAIS, unione delle donne antifasciste italo-slovene, come si ricorderà nel libro citato nella premessa di questo intervento. Memoria, dunque, reticente. 
Non si vuol parlare di chi ha liberato questa città, tanto che a Trieste non esiste una via dedicata al primo maggio, proprio perché il primo maggio del '45 i nazionalisti triestini videro e vedono questa data non come liberazione della città dal nazismo, ma come occupazione da parte dei partigiani jugoslavi, mentre per molti di loro la liberazione sarà il 12 giugno del '45 quando l'amministrazione della città passerà alle altre forze alleate quale quelle anglo-americane, per altri ancora il 26 ottobre del '54 quando l'amministrazione della città passerà all'Italia, per altri ancora questa liberazione non ci è stata perché Trieste sarebbe ancora sotto occupazione italiana.Gli effetti della memoria reticente, in via di massima, si vedono e percepiscono, su tutti i crimini compiuti dall'Italia, fin dall'avvento del Regno d'Italia, dal Sud al Nord, dalle repressioni violentissime contro i briganti, a quelle contro le comunità slave, a quelle relative alle vicende del colonialismo e così via discorrendo. 
Reticenza, ovvero negazione. Dall'altra sponda, alla reticenza, al non voler parlare, al passare oltre, si aggiunge quella memoria che rivendica. Rivendica per orgoglio, rivendica per senso di riconoscenza. Certo, è vero che il fascismo nel Sud italia non è stato brutale così come nel confine orientale, ad esempio, ma sempre fascismo era, sempre violento era, sempre dittatoriale era. Nessuna strada, treno puntuale ( ma anche quella dei treni puntuali è una propaganda, una menzogna) bonifiche, od opere possono e devono giustificare il fascismo. Non esiste un fascismo buono ed uno cattivo, un fascismo prima ed un fascismo dopo, il fascismo è uno solo e come tale va ripudiato. Però accade che in alcune città, penso a Vibo Valentia, vi è una statua e non solo che ricorda e celebra un ministro fascista.
Sul post pubblicato su GIAP, a proposito della vicenda di Ronchi dei Partigiani e dei Legionari scrivevo: «Egli sapeva amarmi come tu medesimo sai. Dal Vittoriale degli Eroi egli partì per la morte a tradimento. L’orbo veggente scoprì subito il tradimento. I testimoni sono vivi.»Con queste parole di amicizia e amore fraterno Gabriele D’Annunzio ricordava il suo amico Luigi Razza, nato a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia). Razza fu redattore del Popolo d’Italia e segretario dei Fasci d’azione di Milano, poi Deputato (dal 1924), segretario e poi presidente della Confederazione dei sindacati fascisti dell’agricoltura (1928-33), membro del Gran Consiglio del fascismo e ministro dei Lavori pubblici (1935). Morì mentre si recava all’Asmara. Il legame tra D’Annunzio e Razza passa anche attraverso i luoghi e i simboli, e attraverso il mito dell’Impero Romano, «spada lucente» usata per calpestare la dignità di intere comunità, popoli e semplici cittadini. Nel 1939 a Vibo Valentia venne inaugurata da Benito Mussolini, durante la sua visita alla città, il monumento dedicato a Razza. Eccolo, in Piazza San Leoluca, su un imponente piedistallo, alle sua spalle una stele con l’effigie marmorea della Vittoria alata. A Razza «la sua città grata» ha riservato un’altra effigie nel Palazzo del Municipio, anche questo a lui intitolato. «La sua città grata» è scritto anche sul nastro della corona che periodicamente viene apposta alla base del monumento. A Luigi Razza sono stati intitolati anche il locale aeroporto militare – base del reparto «Cacciatori Calabria» dei Carabinieri, lo stadio comunale, una piazza e la via principale del cimitero cittadino, ove primeggia su tutte l’immensa cappella del Ministro Fascista preceduta da un vialetto circondato, ancora oggi, da fasci littori, e ovviamente all’interno di quest’ultima si trovano foto di Mussolini e del periodo fascista. Del resto, sono a lui intitolate anche diverse vie in svariate città e cittadine d’Italia: Vibo, Milano, Palermo, Avola, Nicotera… Ma non finisce qui: Poste Italiane, su richiesta del Comitato Vibonese Luigi Razza, ha realizzato a margine di un recente convegno sul ministro fascista, uno stand per lo speciale annullo filatelico a lui dedicato, da apporre su una cartolina celebrativa a tiratura limitata.
Il 19 gennaio 1928, come molte altre città dell’Italia meridionale ma non solo, Monteleone venne richiamata con il suo antico nome latino di Vibo Valentia, in omaggio alla politica fascista di «romanizzazione» dell’Italia.

Non è l'unico esempio, in Italia ve ne sono diversi, ma questo basta per far capire come non di memoria reticente si possa parlare ma di memoria che rivendica, rivendica il legame tra quella città ed il concittadino ministro fascista. 

Nel mezzo di ciò si pongono poi opere ed architetture che permangono. Come Torviscosa che aderisce all'Associazione Nazionale delle Città di Fondazione, istituita nel 2009 insieme alla Provincia di Latina e ai Comuni di Tresigallo (FE), Predappio (FO), Alghero-Fertilia (SS), Arborea (OR), Argenta (FE), Aprilia (LT) e Sabaudia (LT). Associazione che ha lo scopo di salvaguardare l'architettura delle città fasciste. L'attuale cittadina del Friuli, nacque tra il 1937 e 1938, dopo una imponente opera di bonifica e la sua importanza era dovuta alla fabbrica, quale la SNIA Viscosa, per la produzione e la lavorazione di fibre vegetali da cui ricavare la cellulosa. Ed intorno a quella fabbrica, è nata la città. Case per dirigenti, case per operai, case per impiegati, strade ed edifici squadrati, con i colori tipici del fascismo, bianco o marrone, con quella funzionalità che era proprio di quel tempo. Ora se da un lato può essere legittimo preservare alcune opere per questione storica ecc, dall'altro la conservazione non deve in nessun modo favorire processi di celebrazione,esaltazione o nostalgia. Se la “conservazione” di alcune opere fasciste, siano esse monumenti, colonne o città, non è accompagnata da note immensamente critiche e di condanna al fascismo, il tutto rischia di favorire non tanto la memoria reticente ma la memoria che rivendica. Poi, come detto, nel triste mezzo tra memoria reticente e memoria che rivendica si pone il compromesso per eccellenza revisionistico, quale quello che vuole la memoria condivisa come punto fermo della storia del prossimo avvenire. D'altronde, come è stato fatto osservare durante il dibattito presso l'ANPI di Monfalcone, in Germania è praticamente impossibile trovare nelle edicole calendari di Hitler, ma in Italia quelli di Mussolini ci sono, quale differenza tra fascismo e nazismo?Tra Mussolini e Hitler? Teoricamente, in via di condanna, nessuna, ma la pratica insegna altro, altro che conduce alla legittimazione di gruppi, forze politiche, culturali, sociali,ed anche artistiche dichiaratamente fasciste, altre neofasciste, altre d'ispirazione fascista.  In Italia i conti con il nostro passato, che non è passato, non li abbiamo ancora fatti e forse è il caso di accelerare questo processo, a partire con il chiedere scusa a tutti Paesi, a tutte le comunità che abbiamo, come Italia, violentato, massacrato, per poi procedere se non con la rimozione o demolizione di statue e busti fascisti, ad esempio, almeno con la collocazione di pannelli informativi critici che condannino espressamente il fascismo e l'operato ecc della persona o delle persone in questione.
Marco Barone 

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