La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

La grande guerra vista da Corrado Alvaro in Vent'anni un libro antimilitarista da riproporre

Scritto in neanche un mese, Corrado Alvaro nel suo secondo romanzo, Vent'anni, considerato come una delle prime opere antimilitariste pubblicate in Italia, parla della grande guerra, quella che anche lui ha conosciuto e vissuto sulla propria pelle. Opera che nasce come risposta alla propaganda della grande guerra realizzata dal fascismo per il fascismo. Un libro che oggi è difficilissimo trovare e che è il caso, alla luce anche del centenario del grande massacro, di riproporre per la sua visione fortemente critica di quel maledetto evento disumano. Si è detto che la prima parte dell'opera è quella meno riuscita, in realtà, personalmente, è proprio nella prima parte dell'opera che ho trovato potenti spunti di riflessione e di critica tramite soprattutto la voce del protagonista Luca Fabio. Giunto a Firenze, dove “la storia era cosa di ieri e poteva esserlo d'oggi” dove tutto quello che aveva imparato e studiato ora lo poteva in modo meraviglioso toccare, sfiorare, vedere con i propri occhi, nella Firenze città' d'arte per eccellenza, subito comprenderà e denuncerà in modo poi non tanto sottile cosa era la disciplina, l'obbligo di prepararsi ad un qualcosa che veniva semplicemente imposto. Una caserma ove l'individuo non era più persona, non era più qualcuno ma uno qualunque, un numero “al mio paese c'erano i campi,c'erano le ragazze che crescevano,con avevamo giocato,che ora ci turbavano, e là mi conoscevano tutti e io ero una persona, un nome e non uno qualunque”. Dunque è certamente efficace l'immagine con la quale rappresenta quella violenza che l'individuo ha dovuto subire, individuo, che sia per istinto di ribellione, che per ignoranza genuina perché abituato spesso alla vita semplice dei campi, alle regole della natura, non era in grado neanche di saper marciare “e guardavano tutti quella scarpa, quel piede, poi il loro stesso piede sinistro come se non appartenesse più a loro,al comando aspettando il segnale di marsc lo sollevavano un poco come per tenerlo pronto”. Il piede sinistro che si ribella all'ordine, ordine di guerra. Ed allora l'espediente utilizzato consisteva nel collocare un “ filo intorno alla gamba sinistra perché si rammentasse che al comandi di uno era quella che doveva mettere avanti”.
Un filo sottile che spogliava l'individuo dalla sua libertà dal suo essere uomo, non soldato,non militare. 
Militari che avevano equipaggiamenti a dir poco scadenti,per affrontare una guerra imposta “giubba larga e lunga, scarpe troppo grandi, pantaloni legati nel gambaletto, cadevano in pieghe sgraziate”. Oppure “ borraccia di legno, pettine di legno, bicchiere di zinco” o sciabole o fucili antiquati per affrontare le note mitragliatrici. “Si ricordò dell'azione che aveva veduto al di là dell'Isonzo, pochi giorni prima quell'avanzata impossibile a bandiera spiegata, le trombe,i tamburi le sciabole,gli uomini con le sciabole che cadevano come pezzi di una scacchiera”. E la forza della propaganda aveva alla fine travolto ogni angolo del Paese, tanto che non veniva più apprezzata l'arte ordinaria, la bellezza ordinaria. E' emblematica la scena che ora segue per comprendere il clima di quel tempo come ben descritto dallo scrittore calabrese “un pittore di palcoscenico,di quelli che dipingono il quadro sotto gli occhi del pubblico in pochi minuti aveva con certi gessetti colorati disegnato monti,il mare, una stella sul mare. Il pubblico rumoreggiava e fischiava. Alla fine della sua opera, il paziente artista,con un'aria furba,scrisse sul cielo del suo quadro viva Trento e Trieste, gli applausi piovvero”. Bastava una scritta inneggiante il moto irredentista e nazionalista Trento e Trieste per infuocare gli animi e ribaltare quel senso di percezione della realtà che fino a qualche mese prima era la normalità. Alvaro scriverà anche che “parevano presi tutti dalla vertigine. Si vedevano cartoline illustrate raffiguranti la fucilazione di un ministro che non voleva la guerra,o un soldato che cade bellamente all'ombra d'una bandiera. Saltavano su i motti liceali in latino, i versi dei poeti. La morte appariva come un sogno fiammeggiante, una irrealtà in un mondo piatto e decrepito”. 
Animi che avevano in parte una risposta alla guerra, come una sorta di litania inconsapevole rispondevano, dopo continui martellamenti,alla domanda perché facciamo la guerra con le canoniche frasi “ per la Patria, per l'onore”. Eppure patria ed onore erano concetti altamente astratti che dominavano con sentimenti di rassegnazione all'interno di chi ha anche combattuto “ Così è la guerra, ragazzi. La famiglia, la casa, ha l’uomo che la difende e l’accresce; ma la patria non sarebbe che un gran pezzo di terra senza senso, e non avrebbe mezzi per accrescersi e per difendersi se non ci fossero gli uomini che sopra questa grande terra hanno costruito le loro case, hanno allargato i loro campi, vi hanno messo la loro donna, le loro creature, le loro bestie, i loro alberi; e tutti respirano la sua aria, e amano sotto il suo cielo, il suo sole, il suo buon tepore. Perciò succede che a ogni trentina d’anni, gli uomini devono pensare alla terra di tutti. Il vicino è prepotente e dà noia; o è debole e non merita d’avere pace e prosperità. Come fa l’uomo con gli altri uomini, la nazione lo fa con le altre nazioni. Ma noi, dice qualcuno, stiamo bene nella nostra terra e nella nostra casa, e nessuno ci disturba. Lo dite voi. Vi disturberà qualcuno, vi darà molto fastidio, cercherà di prendervi il vostro, di bersi il vostro vino, macinarsi il vostro grano, prendersi i vostri figli per soldati. O fra uomini non si sta sempre in guerra?”

Il timore dello straniero, che veniva e ti portava via la tua terra,la tua donna che minava la tranquillità della tua famiglia, queste erano le risposte concrete che gli Ufficiali disgraziati di guerra davano ai propri soldati dubbiosi. D'altronde “Tutto il mondo ha fatto sempre la guerra ed è cominciato con la guerra. La vita è corta, e pochi se ne accorgono che il mondo ha fatto sempre la guerra. A ogni guerra dicono che questa sarà davvero l’ultima, la fine di tute le guerre. Ma poi vengono i nuovi che crescono, divengono forti, quello che hanno preso non gli basta, la famiglia si è allargata, e ricominciano. Non c’è nessuno che voglia la guerra, e tutti a un certo punto la fanno. (..)Ma voi mi dite: sono tutte belle ragioni, ma il fatto è che in guerra si muore. Io vi dico che anche a vivere si muore. Soltanto, uno non se lo aspetta, e allora sembra lontano. Chi lo vede che succede nel mondo mentre stiamo tranquilli a casa nostra? Nello stesso minuto gente nasce e gente muore”.

Ed allora l'Italia doveva essere rappresentata come una donna, una donna guerriera, una donna che con la sua spada affrontava lo straniero, i barbari. E l'Italia sarà quella donna che sfratterà l'individuo dalla sua casa per andar a fare il suo dovere, la guerra, sarà quella donna che tenterà il futuro prete che prete non diventerà proprio perché tentato dalla donna Italia, capirà che è fatto di carne ed ossa e dovrà anche lui fare il suo dovere, la guerra. Donne che per la via di Bologna salutavano in modo festoso i soldati, come eroi, altri come cavalieri erranti, donne vestite anche di tricolore nei teatri, donna Italia che ti prende per mano e ti conduce alla morte,perché tanto le guerre ci sono sempre state, donna Italia che deve essere corteggiata dall'uomo soldato e che l'uomo soldato non può e non deve tradire perché la fedeltà era un dovere anche in un Paese senza fede. Ed in nome di quel dovere “più si accumulano i morti e più comandano imperiosamente” ove “tante speranze e tanta gioventù è morta” e l' Italia come donna guerriera,  Patria come mamma che coccola i propri bambini con cioccolatini e sorrisi per la guerra, ma quale mamma manda i suoi figli a morire? 
Ma vi furono anche donne dai sentimenti ostili e queste furono le donne della zona della Bisiacaria, donne che facevano fatica a scambiar parole con i soldati invasori italiani, “essere erano abituate a un esercito più ricco,più rigido, più organizzato,questi nuovi facevano l'impressione di una grande economia, di una semplice povertà”. 
Quello italiano è“un popolo che diviene esercito che marcia e combatte muore e non sa bene per chi e per cosa” ma anche un popolo che viveva un contrasto tra chi proveniva dalle città ed era stato indottrinato con la letteratura nazionalista ed interventista e diventava eroe e doveva essere eroe ed un popolo semplice ed ignorante ma che nella propria ignoranza trovava il senso della vita ordinaria, l'amore per la natura, per i campi, per le terre per le proprie donne e diventava cavaliere errante.. Una guerra dove “camminare voleva dire essere vivo”

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