C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Moro, la moto Honda ed anche Kawasaki




Riesplode il caso Moro, un caso che vede l'intreccio di servizi, 'ndrangheta, che in base a delle dichiarazioni passate sembra addirittura che uno degli aderenti fu tra gli esecutori materiali del sequestro dell’onorevole Aldo Moro, bande criminali. Si gira e ruota intorno alla questione, senza mai focalizzare veramente il tutto.
Per esempio, Steve Pieczenik, esperto di terrorismo, già consulente del Dipartimento di Stato Usa nel 1978, fece trapelare in una intervista audio che avrebbe indirizzato e gestito l'azione delle autorità' italiane con le Br nella vicenda poi culminata con la morte di Aldo Moro, poichè Aldo Modo, in qualità di massimo esponente della DC doveva essere sacrificato per evitare che il PC prendesse totalmente il potere. Di norma i sequestri di persona, di cui gli ndranghetisti erano i massimi esperti in quel tempo, si realizzano per ottenere il pagamento di un riscatto. E non a caso era emerso più volte che il Vaticano, tramite le sue infinite articolazioni, aveva raccolto una enorme quantità di danaro per pagare il riscatto. Ma il sequestro Moro deve necessariamente essere inquadrato con quello che è accaduto qualche mese prima in Italia. Dagli atti della X LEGISLATURA - DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI – DOCUMENTI ( COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUL TERRORISMO IN ITALIA E SULLE CAUSE DELLA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEI RESPONSABILI DELLE STRAGI Doc. XXIII n. 51) emerge che è “ un fatto oggi provato che nel 1972 prese avvio la trasformazione di Gladio da struttura creata per contrastare una invasione del nostro territorio sul confine nord-orientale a struttura prevalente informativa operante sull'intero territorio nazionale. Tale trasformazione ha avuto tempi di realizzazione piuttosto lunghi. Ma è questa la linea di tendenza che è venuta affermandosi, specialmente dopo che nel biennio 1974-76 la rete fu ristrutturata con l'eliminazione delle UPI, le unità che avrebbero dovuto operare «in superfìcie» con azioni di guerriglia, e con il potenziamento dei nuclei, le unità «sommerse» e nell'attività informativa”.

Ma nel 1977 il Parlamento varò la riforma dei servizi di sicurezza. Il SID, nato nel 1966 per sostituire il SIFAR, fu rimpiazzato da due nuovi organismi: il SISMI, competente in materia di sicurezza militare e il SISDE, destinato a garantire la sicurezza democratica In seguito alla riforma, la Sezione SAD che sovrintendeva a Gladio, sino ad allora incorporata nell'Ufficio «R» allo scopo di «accrescerne l'occultamento», divenne la 7a Divisione del SISMI. “Con la legge del 1977 i servizi non solo erano riformati ma era totalmente «riposizionato» il loro modo di essere nel quadro istituzionale. Mentre il SIFAR era nato, il 30 marzo 1949, mediante una circolare interna dell'allora ministro della difesa, Pacciardi, e il SID era sorto mediante una circolare segreta interna - che peraltro non accennava minimamente a Gladio o ad altra struttura riservata - del ministro della difesa, Tremelloni, il 25 giugno 1966, ora invece era la legge dello Stato, votata dal Parlamento, a fissare le nuove regole. Proprio per questo, la scelta di ignorare la legge e di procedere come se il Parlamento non si fosse pronunciato è di una gravità estrema. Il CESIS fu semplicemente «cortocircuitato», e ciò per volontà degli stessi Presidenti del Consiglio che, quando volevano sapere qualcosa o far fare qualcosa, si rivolgevano direttamente ai capi dei servizi. Anche il rapporto con i servizi esteri fu sottratto al CESIS. In tal modo Gladio, nelle sue proiezioni interne e internazionali, sfuggì al controllo del Segretariato esecutivo dei servizi di informazione e sicurezza. Inoltre si doveva tener conto della suddivisione dei campi di attività dei servizi, il SISDE impegnato nella tutela della sicurezza democratica all'interno, il SISMI in quello della sicurezza esterna. A quale servizio andava «appoggiata» Gladio?Il problema non sfiorò in alcun modo i responsabili politici. Addirittura la «riforma» fu gestita da altri poteri, quelli piduisti. Il SISMI fu affidato al generale Santovito. Il SISDE al generale Grassini. Il CESIS al prefetto Pelosi. La penetrazione piduista negli alti gradi dei Servizi fu massiccia”.

E leggere nella citata relazione che “Furono gli anni del rapimento di Aldo Moro e della strage di via Fani, del dispiegamento della «geometrica potenza del terrorismo» e dell'impotenza dello Stato. Furono gli anni di Ustica e della strage alla stazione di Bologna”, non è certamente casuale.

E' emersa, in più atti, la presenza del Colonnello del SISMI, quale Camillo Guglielmi, in via Fani, nella mattina del 16 marzo 1978. Guglielmi, come dirà l'Onorevole CIPRIANI D.P nella seduta del 28 gennaio 1992, con nota integrativa, (14 e 15 aprile 1992 - pagg. 39, 40) “faceva parte della VII Divisione, cioè di quella Divisione del Sismi che controllava Gladio”. 

All'inizio sembrava che lo stesso non riuscisse a dare una spiegazione convincente della sua presenza, si parlava di invito a pranzoMa, il Presidente PRESIDENTE PELLEGRINO DS , nella seduta del 9 marzo 1995, dirà espressamente che (9 marzo 1995 - pagg. 347, 348, 349, 350, 351, 352, 353, 354) “Peraltro egli dichiarò di non essere in servizio a Roma, in quel periodo, ma di essere stato assegnato solo nel giugno 1978 ad un nucleo del Sismi di stanza a Fiumicino. Sulla presenza di Guglielmi in via Fani, una memoria del deputato Luigi Cipriani in data 3 maggio 1991, al quale l’ufficiale del Sismi Pierluigi Ravasio aveva rilasciato un’intervista, offre invece una interpretazione molto differente che, a parte un certo carattere fantasioso, ci sembra importante perché retrodata, rispetto alle dichiarazioni di Guglielmi, la sua assegnazione al nucleo Sismi di stanza a Fiumicino. Dalla nota del Cipriani emergerebbero due circostanze di grande rilevanza: 1) il fatto che lo stesso Guglielmi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte operavano a Roma già al tempo del rapimento e del sequestro di Moro; 2) l’ammissione, da parte del Ravasio, di un legame tra il Sismi e la banda della Magliana già nella vicenda Moro (legame che verrà registrato anche nelle indagini della magistratura a proposito dei depistaggi seguiti alla strage di Bologna nell’agosto 1980). Si identificherebbe, peraltro, una complessa zona grigia attiva nel rapimento, retroterra dell’attività di uomini quali Carmine Pecorelli e, soprattutto il falsario Antonio Chichiarelli, autore del falso comunicato n. 7”. Dunque pare  innegabile una correlazione tra la riforma dei servizi, la drastica riduzione di finanziamenti che rischierà di affossare il progetto Gladio, ed i fatti che hanno condotto alla vicenda Moro.

Si parla ora della moto Honda. "Moto Honda di colore blu di grossa cilindrata sulla quale erano due individui, il primo dei quali coperto da un passamontagna scuro e quello dietro che teneva un mitra di piccole dimensioni nella mano sinistra, sparò alcuni colpi nella mia direzione, tanto che un proiettile colpiva il parabrezza del mio motorino”. (sentenza Moro 1 e Moro bis, 24 gennaio 1993; atti della X legislatura, Moro, fascicolo 35, pagina 801).

Ma vi è anche una seconda moto.

MARINI seduta 9 marzo 1995 (9 marzo 1995 - pagg. 390, 391, 392) “A noi risulta, infatti, la presenza di una moto Honda in via Fani e questa è una circostanza pa­cifica, accertata con una sentenza ormai passata in giudicato. Poi abbiamo la circostanza della presenza di una moto sotto lo studio di Moro. Mi riferisco cioè all’episodio legato ad una visita dell’ex direttore del ‘Corriere della Sera’ Di Bella. Questa circostanza fa parte del primo processo Moro e del Moro-bis, in cui si parla della presenza di una moto e tale episodio viene riferito soprattutto dalla scorta di Di Bella. Ci è stato detto infatti che un giorno Di Bella va a trovare Moro e, appena arriva, alla sua scorta viene detto, dagli agenti che sono a protezione dello stu­dio di Moro, che è stata vista aggirarsi nelle vicinanze una moto, che poi viene identificata per una Kawasaki. Gli agenti si mettono al suo inseguimento, ma la perdono. Pertanto, non si è mai riusciti ad accertare chi guidasse la Kawasaki”.

In realtà sia la moto Honda che la moto Kawasaki di quel periodo si assomigliavano parecchio e nulla osta che la moto Kawasaki potesse essere in realtà la moto Honda. “Un’altra circostanza legata alla presenza di una moto nelle operazioni è quella che si registra in via Gradoli. In proposito, infatti, abbiamo la testimonianza dei Vigili del Fuoco che furono chiamati in via Gradoli. Costoro, mentre aspettano la polizia, che poi arriva a sirene spiegate e quindi manda a monte l’operazione, dal balcone vedono una moto che segnalano all’arrivo dei poliziotti. Gli agenti si mettono all'inseguimento della moto e in quel caso viene identificata una persona, che poi però viene ritenuta estranea ai fatti”. MARINI seduta 9 marzo 1995 (9 marzo 1995 - pagg. 390, 391, 392)


Come è noto, Cossiga definirà Moro in questo modo: «I padri di Gladio sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar. Io ero un piccolo amministratore. Anche se mi sono fatto insegnare a Capo Marrangiu a usare il plastico»



Marco Barone

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