E la Cassazione, con la sentenza n. 6328 del 19 marzo 2014, ha ricordato che "la giusta causa di
licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell'estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto, come si legge in
questo link( studio cataldi quotidiano giuridico). E precisava che il "lavoratore che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale, o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge", ed in particolare (lett. e) per il compimento di "azioni che implichino pregiudizi all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti", evidenziando la riconducibilità dei fatti contestati alle predette ipotesi quanto all'ingresso in azienda invito domino; al pregiudizio all'incolumità propria e dei colleghi posti nel reparto stampaggio (come emerso dall'istruttoria), in parte sottostante alla posizione dei ricorrenti;
alla violazione del diritto dell'imprenditore all'esercizio della sua attività produttiva (che risultò in parte sospesa per ragioni di sicurezza); ha quindi correttamente ritenuto che pur nell'ambito di una protesta il comportamento aveva assunto inammissibili contorni antigiuridici, violando comunque, anche per la lunga durata dell'azione,
irrimediabilmente il rapporto fiduciario, ritenendo pertanto legittimo il licenziamento anche sotto il profilo della proporzionalità, evidenziando correttamente l'irrilevanza di un eventuale danno per l'azienda". Dunque ritorna con insistenza la questione del rapporto fiduciario, principio generico, talmente generico che ben può prestarsi ad azioni espulsive come il caso ora considerato; principio che lentamente trova affermazione anche nel rapporto del pubblico impiego e se viene abbinato alle lotte, alle proteste, alle occupazioni delle fabbriche, diventa arma letale e legittimata anche dalla giurisprudenza. Negli anni che hanno portato allo Statuto dei lavoratori una sentenza del genere sarebbe stata impensabile, ora invece non fa neanche notizia. Quali armi democratiche hanno i lavoratori per lottare? Per far sentire la propria voce? E' normale che l'occupazione della fabbrica od iniziativa similare comporti una sospensione dell'attività produttiva così come è normale che il vincolo fiduciario venga meno reciprocamente, e quasi sempre non per volere del lavoratore, ma sono situazioni che devono necessariamente essere contestualizzate specialmente in tempo di crisi economica, ed ancor di più quando si opera in terre difficili, situazioni che dovrebbero comportare una causa di giustificazione. Ma così non è per i lavoratori, così è per i datori di lavoro i quali, con questa sentenza pesantissima per i suoi effetti futuri, specialmente se avrà seguito, condizionerà per forza di cose anche il modus operandi delle e nelle lotte. Questa sentenza rappresenta bene la situazione di una parte della giurisprudenza italiana, d'altronde il diritto è elastico nella sua interpretazione e può a volte irrigidirsi nella sua elasticità per impedire azioni di lotta che possano compromettere l'immagine ed il buon nome padronale ed intimorire i lavoratori. Non è detto che questo pronunciamento avrà seguito, ma è certamente una sentenza di Cassazione e non di un mero Tribunale di merito, e ciò deve indurre seriamente alla riflessione.
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