Qual
è il limite tra la libertà
di manifestazione del pensiero dei dipendenti pubblici e la tutela
dell'onore dello Stato italiano? Come
è noto è
stato pubblicato da poche settimane il nuovo Codice di "condotta"
( DPR 62/2013) per i dipendenti pubblici ed in particolar modo
l'articolo 12 comma 2 afferma che “Salvo il diritto di esprimere
valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali,
il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei
confronti dell’amministrazione”. Una
norma che si presterà a diverse interpretazioni e su cui, per alcune
riflessioni, rinvio a questo mio precedente scritto: Dirittodi critica: offendere una persona non è sempre reato ma insultarel'Italia è Vilipendio. Voglio
soffermarmi ora sulla libertà di espressione come sancita
dall'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata
dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. I principi fondamentali
sono i seguenti: 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di
espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la
libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi
possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza
limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo
sono rispettati. La violazione di
questi diritti comporta il diritto del cittadino a ricorrere alla
Corte Europea dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali per
ottenere il ristoro dei danni subiti, anche morali, purché siano
esauriti tutti i possibili rimedi giurisdizionali interni.
Io ho sempre
rispettato la libertà di espressione del pensiero, delle
manifestazioni politiche ivi correlate, anche se ovviamente non
sempre condivise, purché rispettose in via prevalente
dell'antinazifascismo e dell'antirazzismo.
Giunge voce che
chi solleva l'indipendenza di Trieste, ricollegandosi al Trattato di
Pace, rischia, se dipendente pubblico, una sanzione disciplinare.
Moralmente ognuno può pensarla come vuole, politicamente anche, ma
come detto quanto sarebbero legittime queste sanzioni comminate dal
proprio datore di lavoro pubblico?
Premesso che
colui che contesta il fatto è anche colui che dovrà sanzionare il
fatto, quindi accusa e giudizio, nella fase stragiudiziale coincidono
con lo stesso soggetto, esistono dei limiti che devono essere
valutati con cognizione di causa.
Il chiedere
l'indipendenza di Trieste o di qualsiasi altra realtà, attraverso
processi normativi e burocratici, ma anche politici, purché non
rientranti nella fattispecie penale vigente dell'eversione
dell'ordine democratico e costituzionale, è compatibile con
l'attività del dipendente pubblico che lavora presso quello Stato
italiano che ha diffidato o contestato. L'importante è che il
dipendente conformi la propria condotta, sul luogo di
lavoro, ai principi di buon andamento e imparzialita' dell'azione
amministrativa e che lo stesso svolga il proprio lavoro nel rispetto
della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della
posizione o dei poteri di cui e' titolare e senza usare
a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio,
evitando situazioni e comportamenti che possano ostacolare il
corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o
all'immagine della pubblica amministrazione.
In
secondo luogo il dipendente pubblico può usare argomentazioni
critiche, anche forti, verso il proprio Stato e conseguentemente
datore di lavoro, purché oggettivamente motivate. Del resto, negare
il diritto di critica o di manifestazione del proprio pensiero anche
attraverso l'esercizio diretto dell'attività politica, solo perché
lesivo della reputazione dello Stato, significherebbe negare il
diritto pieno di libera manifestazione del pensiero. Verrebbe
dunque da chiedersi, tutti quei dipendenti pubblici che hanno
appoggiato l'iniziativa referendaria promossa dal Movimento Pastori
Sardi, quali i Movimenti Indipendentisti Sardi
“Sardigna Natzione Indipendentzia”, ”Indipendentzia Republica
de Sardigna”, ”Movimento Nazionalista Sardo”, l’”Associazione
degli Artigiani e dei Commercianti Liberi,”, gli
“Autotrasportatori”, del movimento delle “donne sarde del
digiuno” del “Presidio di Piazzale Trento” e di “No
Equitalia”, e che hanno firmato la richiesta di referendum per
ottenere l'indipendenza della Sardegna, richiamando i principi della
di ratifica delle Nazioni Unite numero 848 del 17-8-1957 e la numero
881 del 25-10-1977 di ratifica ed esecuzione del Patto di New York,
devono essere sanzionati? Licenziati?
Certamente no. E
non mi pare che ciò sia accaduto. Semplicemente
perché è la stessa Costituzione italiana con gli articoli 17, 18
e 21 che legittima tali esercizi di libertà politica e
manifestazione del pensiero. Che poi quel
referendum sia andato male, ciò è altro discorso, poiché
l'articolo 5 della Costituzione italiana lo vieterebbe, stante il
fatto che la Repubblica è una ed indivisibile e riconosce e promuove
le autonomie locali. Quello che qui interessa è il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero, con azioni politiche,
contro il proprio Stato, che è anche il proprio datore di lavoro.
Se dovesse
passare una cosa del genere, quale la sanzione o l'espulsione dal
luogo di lavoro per chi osa rivendicare simili istanze, sarebbero a
rischio, in verità, tutte quelle soggettività che osano criticare
duramente il proprio Stato od attaccare le politiche realizzate dallo
stesso. Penso agli anarchici, ai comunisti, agli anticapitalisti,
sarebbero i primi ad essere colpiti da tale provvedimento
sanzionatorio e fortemente repressivo.
Poi una cosa
proprio non la comprendo, o meglio faccio finta di non volerla
comprendere. Per anni in Italia il movimento politico quale la Lega
nord ha professato l'indipendenza della Padania, perché nulla a tal
proposito e di similare è mai stato sollevato? La risposta è
scontata. Stesso discorso andrebbe esteso verso chi professa il
fascismo, con movimenti politici neonazifascisti, ma anche in questa
direzione nulla a tal proposito è stato sollevato, oppure verso le
obbedienze massoniche, ma su queste si dirà che non sono segrete,
bensì riservate, già.
E' normale che
lo Stato debba difendere se stesso, ciò che dovrebbe indurre alla
riflessione, invece, è che chi si definisce libero pensatore, che ha
materialmente contribuito anche alla scrittura della Costituzione
italiana, nello spirito della fratellanza, e dell'illuminazione,
contraddica se stesso e la sua stessa Costituzione, nel favorire, e
li favorisce, certi fenomeni di repressione.
Perché
provocare azioni che possono sfociare in altro rispetto a quello che
si è visto sino ad oggi?
Marco Barone
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