Chiude
o non chiude, dilemma sociale, forse epocale, perché ben
rappresentativo della situazione oggi vigente.
La
Ferriera di Trieste, il cui primo nucleo originario sorgeva ad opera
della Società Industriale della Carniola (Krainische Industrie
Gesellschaft) nel lontano 1897, oggi facente parte del gruppo
Lucchini, controllato a sua volta dal gruppo russo SeverStal,
continua a far discutere.
Il
Gruppo Lucchini ha vari siti produttivi sparsi per l'Italia,
Piombino, Trieste, Lecco, Condove, Bari. Il sito triestino produce
ghisa, anche se il vero punto forte è rappresentato dalla cokeria,
che produce una quantità di coke superiore a quella necessaria
all’impianto triestino e che pertanto viene spedita a Piombino per
alimentare i forni del sito toscano. La produzione di Trieste viene
venduta soprattutto alle acciaierie a forno elettrico del nord Italia
ed alle fonderie di ghisa.
Ma
in realtà non sembra essere grande l'attenzione del gruppo
Lucchini/SeverStal verso il sito triestino. Il sito internet di
riferimento dedica poco spazio alla realtà triestina, molto invece
ad altri siti. Certo non è da ciò che si comprende l'interesse di
un gruppo in una data attività, ma è certamente, nella società
della grande comunicazione virtuale, un fattore importante per
comprendere l'interesse complessivo.
Probabilmente
il vero motivo che lega questo gruppo ancora oggi a Trieste è dato
dal regime di CIP6 con cui lo Stato concede aiuti finanziari alle
aziende che producano energia con fonti rinnovabili.
I
gas di risulta di cokeria e altoforno sono venduti in regime di Cip6
alla vicina centrale termoelettrica con cui però sarebbe in corso un
contenzioso per somme consistenti non percepite da parte del gruppo
Lucchini.
Nel
2015 questo regime di finanziamenti verrà meno, ed è forse il caso
di ricordare che l'Italia è l'unico Paese nel quale viene concesso
l'incentivo anche alla produzione di energia elettrica tramite
procedimenti quale ad esempio il carbone o la combustione dei
rifiuti urbani negli inceneritori.
Ma l'assurdo dell'assurdo è che i costi di questo incentivo vengono finanziati mediante una sorta di sovrapprezzo
del 7% del costo dell'energia elettrica,direttamente a carico dei cittadini.
Ed in tale assurdità l'esistenza della Ferriera, per come oggi funzionante, è direttamente collegata al Cip6 ed alla società che produce energia con i gas refusi.
Un circolo vizioso che presto finirà, salvo altre proroghe, finanziamenti pubblici e tasse a discapito dei cittadini.
Dunque
l'impianto, anche se inserito nel sito di interesse nazionale, non
svolge un ciclo produttivo completo, con la produzione dell'acciaio,
e svolge la propria attività in regime di autorizzazione integrata
ambientale rilasciata dalla regione Friuli Venezia Giulia, occupa
circa 500 lavoratori più un indotto occupazionale di altrettanti
lavoratori, genera emissioni di polveri sottili e benzoapirene,
oltre che di altri contaminanti e, giusto per ricordare che una
vicenda come Taranto a Trieste in qualche modo vi è già stata, ma
forse dimenticata, nel 2003, per ordine del tribunale di Trieste, la
Ferriera veniva sottoposta sotto sequestro, con conseguente blocco
delle attività dello stabilimento siderurgico.
Sarà
solo in relazione alla stipula di un accordo d'intesa tra il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la
regione Friuli Venezia Giulia e gli enti locali, che lo stabilimento
riaprirà battenti. Il protocollo conteneva alcune azioni,
probabilmente mai pienamente attuate, per il miglioramento delle
condizioni ambientali dell'area industriale in previsione della
dismissione dello stesso a fine dell'anno 2009 ovvero in coincidenza
con la fine del regime CIP6.
Ma
quel regime veniva prorogato sino al 2015 data ove la chiusura di una
storia di inquinamento triestino giungerà alla fine.
E'
stata criminale l'idea di realizzare un sito industriale di simile
portata in un contesto urbano densamente abitato, rioni come Servola,
Valmaura, Chiarbola e San Pantaleone, vivono quotidianamente
l'inquinamento, e quotidianamente si respira quell'odore di marcio
che si espande dalla ferriera per conquistare i rioni confinanti.
Manifestazioni
di comitati cittadini, sull'onda dell'emozione di Taranto continuano
a presenziare in città. I lavoratori per il momento cercano, con
l'aiuto dei sindacati ed interpellanze parlamentari, una risposta al
canonico secolare che fare?
E'
inutile chiedersi ora il perché di ciò. Perché è stato realizzato
in quel posto, perché non è stato dismesso prima, perché si è
continuato a costruire nonostante quello stabilimento e così via
dicendo.
I
lavoratori che ogni giorno vivono quell'ambiente sono consapevoli del
fatto che nel 2015 il lavoro finirà. Chi investirà con questa crisi
destinata a durare decenni alla Ferriera di Trieste?
Nessuno.
Ed
allora lo Stato, responsabile di questa situazione, dovrà risarcirli
accompagnandoli, con indennità economica dignitosa, sino alla
pensione, e dovrà risarcire anche l'indotto così come tutti i
cittadini e la Ferriera, a parer mio, andrà trasformata in museo, un
museo storico e sociale, un museo del lavoro, un museo sul lavoro
della Ferriera e nella Ferriera, un museo vivo e non mortuario per
ricordare alle generazioni che verranno come non si deve
industrializzare in città e magari qualche imprenditore e politico
illuminato prima di decidere di annientare la vita di lavoratori e
cittadini, se mediterà qualche tempo in più nel gabinetto della
riflessione andando alla ricerca della pietra nascosta che recherà
tal persona verso il buon senso, forse non sarà poi un male così
esoterico da evitare.
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