C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

La Sentenza 199/12 della Corte Costituzionale non esclude la privatizzazione dell'acqua




In data 20 luglio da più parti è giunto un coro univoco, un coro che esaltava la grande vittoria dei movimenti, poiché la Corte costituzionale farebbe saltare la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici locali.
Un sentimento di euforia che ben comprendo, essendo anche io uno di quelli che ha sostenuto e sostiene il carattere pubblico e di bene comune dell'acqua, però dobbiamo necessariamente ritornare con i piedi per terra.
Già, perché se la sentenza 199 e 200 del 2012 riconosce che il vincolo referendario è stato infranto con l'articolo 4 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011  dichiarando la palese violazione dell'articolo 75 della Costituzione, in realtà non si ribadisce il carattere né pubblico né comune dell'acqua, anzi questa sentenza suggerisce al legislatore come fare per intervenire in materia.
Diciamo che è una sentenza dal doppio effetto.
Il primo dal grande impatto mediatico e di riconoscimento apparente della democrazia diretta, riconoscendo il valore del referendum e riconoscendo il diritto all'illusione dei cittadini, dall'altro lato suggerisce, appunto, ai governanti come fare per privatizzare i beni comuni, quindi, l'acqua.
Non è una mia follia interpretativa.
E' tutto scritto nero su bianco, e mi sorprende che questa disposizione sia sfuggita ai più.
Come prima cosa nella sentenza n° 199 si richiama testualmente una vecchia sentenza della Corte la quale afferma che: «la normativa successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta all’ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi permane comunque la possibilità di un controllo di questa Corte in ordine all’osservanza – da parte del legislatore stesso – dei limiti relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare» (sentenza n. 9 del 1997)
Però afferma che il legislatore ordinario, «pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata» (sentenza n. 33 del 1993; vedi anche sentenza n. 32 del 1993).
Ma specialmente che Né può ritenersi che sussistano le condizioni tali da giustificare il superamento del predetto divieto di ripristino, tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di giudizio, nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata.
Cosa vuol dire ciò?
Significa, questa esplicazione della Corte, che si deve avere pazienza. Una pazienza che deve riconoscere la finzione del diritto della democrazia diretta e partecipata. Superato il periodo della pazienza necessaria, si potrà intervenire, giustificando, per esempio la privatizzazione del bene comune, mai riconosciuto come tale dalla Corte Costituzionale, quale l'acqua pubblica come appunto bene comune, per ragioni che al momento del referendum non sussistevano ma che ora sussistono.
Penso al pareggio di bilancio, penso all'articolo 81 della costituzione, penso al rispetto della cassa dello Stato, penso allo spread, penso alla crisi, tutte condizioni tecnicamente e giuridicamente idonee a scavalcare la volontà referendaria ed a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata.
Quindi, basta un mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata ed un lasso di tempo sufficiente dall'esito del referendum, per rendere pieno il potere dell'oligarchia esistente, tutelando nel breve termine l'apparenza della democrazia diretta e nel lungo termine quello del sistema.
Ma i sistemi non governano per il breve termine, governano per e nel lungo termine, e son certo che l'acqua sarà destinata ad essere privatizzata, almeno a livello normativo, perché la Corte costituzionale non ha blindato la non privatizzazione dell'acqua, ma specialmente ha indicato espressamente come fare per superare la volontà referendaria.
Questo è il quanto.
Quindi, attenzione massima, la partita non è finita.

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