La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Viva il Re senza soldi

C'era una volta, in un tempo ove ore e minuti, secondi e decimi si confondevano tra il sogno di quell'alba che accompagnava l'essere umano al risveglio obbligato e la notte dalle grandi passioni ove ogni individuo osava sognare, una città chiamata la Piccola Vienna, abbracciata dalle acque fredde di un mare sempre più vagabondo e le alture rudi e grezze di una natura mai stanca di affrontare l'imposto tempo.
In quella terra viveva un Re, un Re amato da molti, odiato da tanti, un Re che un giorno vide tutto il suo patrimonio, tutti i suoi beni, che aveva sempre diviso con la collettività, essere conquistati e depredati dai predoni di una terra gelida e fredda ove ogni azione ed emozione era dovuta e voluta dal loro potente Dio chiamato Danaro.
Il Re perse tutto ma non la sua dignità.
Senza soldi, ma con tanta voglia di vivere, nonostante tutto.
Sono nato Re e morirò Re.
Questo era il pensiero regnante sovrano nel cuore e nella mente del Sovrano della Piccola Vienna.
Ed allora ecco il Re che doveva affrontare piccole incombenze quotidiane ma necessarie per vivere o meglio sopravvivere e cercare di capir come fare.
Scoprì la voce della solidarietà umana e sociale.
Scoprì l'eco dell'essenzialità.
Scoprì l'umiltà.
Ma un pensiero dominava i suoi pensieri.
Voglio viaggiare, devo viaggiare.
Io scrivo, rinchiuso nella mia stanza, scrivo lettere ed emozioni che condivido con la società, con la mia gente, con il mio popolo.
Ma le mie lettere devono partire.
Oggi, oggi devono essere trasportate dalla Carrozza in quella MonteLeone ove il popolo attende di ascoltar la mia storia, di leggere la mia storia che sarà la nostra storia.
Non posso certo deluderlo. Il popolo ha sempre atteso le mie lettere e le mie storie,danaro o non danaro io continuerò a scrivere, danaro o non danaro la mia parola continuerò a volare nella valle dell'eco per divenir scrittura immortale nell'eterno papiro.
E scriveva, scriveva, raccoglieva la carta che veniva scartata dai vari notabili, ed imparò il senso del riciclo ed utilizzava quell'inchiostro che custodiva con viva ed ardua passione nel suo forziere.
I predatori presero oro ed argento, ma non l'inchiostro perché non sapevano che farsene dell'inchiostro.
Eppure quelle macchie color nero gettate con violenza e sentimento sulla carta si dimostreranno essere  più importanti di ogni oro ed argento, di ogni metallo vilmente prezioso per la società.
Giorno dopo notte, notte dopo giorno, il Re scrisse varie storie, pronte per esser lette e consegnate alla sua gente.
Ed ora doveva viaggiare, viaggiare per consegnarle a quelle mani che sudavano la fatica del duro lavoro, a quei cuori che attendevano la sinfonia della speranza.
Questo pensava anche il Re.
Soldi o non soldi, viaggerò.
Ed allora decise di salir sulla carrozza a vapore senza pagar titolo di fvaggio alcuno sfidando ogni controllo e controllore.
Sudava, sudava ma proprio quando il suo cuore iniziava a diminuir le palpitazioni ecco la odiata frase: titolo di viaggio prego...
Il Re non perse tempo, diretto e conciso disse, io sono il Re, un tempo ero il Re della Piccola Vienna, avevo soldi, avevo campi, avevo tutto, ora non ho più nulla, ma ho la mia dignità. Devo consegnar queste lettere al popolo di MonteLeone. Io ero il Re, io sono il Re, non ho il titolo di viaggio, non ho soldi per pagarlo, non ho soldi per non far più nulla, ma è mio diritto quello di viaggiare, è mio diritto quello di sognare, è mio diritto quello di consegnar personalmente queste lettere al mio popolo, è mio diritto salire su questo Treno che viaggerà in ogni caso, che si fermerà presso le varie stazioni in ogni caso, non sono di alcun peso, dunque vuole multarmi? Faccia pure, ma io non pagherò, perché non ho danaro, è uno stato di necessità, ed in tal stato di necessità io ora viaggio, si ora viaggio.


Il controllore guardando in basso affermò:
Tenga, questa è la sua multa, non la pagherà, io devo fare il mio lavoro, non sarò io ad ostacolarla, Re.
Ed il Re stringeva tra le sue mani quel foglio.
E guardava scorrere il mondo fuori da quel vetro sempre più opaco sempre più sporco.
Erba alta ed incolta accompagna il lungo binario ferroso che congiungeva la Piccola Vienna con la rocca di MonteLeone.
Regnava in tal terra una guerra violenta e silente, i predatori del nord conquistarono i beni e le terre, diritti e ricchezze di ogni paese, ma la speranza e la dignità di andar oltre il loro Dio non venne conquistata, no.
Ed il Re lo sapeva bene, le storie stilizzate in quelle lettere da consegnar al suo popolo erano la fonte della ribellione.
Speranza e ribellione unite nel bacio di una emozione senza tempo.
Parole e scrittura, spada e scudo che completavano l'armatura del popolo ribelle.
Viva il Re senza soldi.

Marco Barone

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