Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

20 euro di sanzione per non aver mandato il figlio a scuola.


Sul sito persona e danno  viene difussa una recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 gennaio14 marzo 2012, n. 9892. La vicenda è semplice. Il Giudice di Pace  condannava P.F. alla pena di 10 Euro di ammenda per non avere in qualità di genitore esercente la patria potestà, ottemperato all'obbligo scolastico nei confronti del figlio minore risultato assente, senza giustificato motivo, per 84 giorni su 113 dell'anno scolastico.
 Avverso tale decisione, il P.G. proponeva  ricorso deducendo  in particolar modo la  violazione di legge per essere stata irrogata una pena determinate sulla base di 15 Euro di ammenda quando la norma prevede una pena non inferiore a 20 Euro né inferiore a 10.000 
Il genitore interessato, era contumace e nello stesso tempo , da quello che si desume dal testo della sentenza, non forniva alcuna spiegazione né, ancor meno, un senso di resipiscenza. La Corte condannava l'imputata alla pena di euro 20 di ammenda.
Io non sono un sostenitore della cultura repressiva autoritaria e penale del fenomeno della dispersione scolastica. A volte dietro questo fenomeno, in costante aumento, si celano problematiche sociali e culturali di difficile soluzione. Però una riflessione è dovuta. Quanto sarà costato alle casse dello Stato quel processo? Tra Giudice di Pace e Cassazione, cancellerie impegnate, tempo e carte, burocrazia e danaro pubblico impiegato per una sentenza che ha comportato la condanna di 20 euro di ammenda, come contrasto alla dispersione scolastica, verrebbe da dire che qualcosa non funziona.
Se si vuole intraprendere la via della repressione penale, che non condivido, si deve edificare un castello di norme che sia efficace, e per essere efficace vi deve essere una sanzione consistente e concreta e dissuasiva dal ripetere certi comportamenti non consoni a soddisfare l'obbligo scolastico.
Altrimenti non ha alcun senso impegnare le casse dello Stato, per avviare processi che portano a poco od a nulla. Le risorse impiegate per svolgere quel processo potevano essere certamente impiegate sul e nel sociale, investendo maggiormente nel settore dei servizi sociali, in quella interazione tra scuola e famiglie che è sempre più complessa ed articolata.
L' Unione europea ha fissato l'obiettivo  di ridurre l'abbandono scolastico del 10% entro il 2020. In questo quadro, il Parlamento europeo ha votato il 1° dicembre 2011 un rapporto per affrontare la questione della dispersione scolastica.
Si tratterà dell'ennesimo intento astratto volto a contrastare un fenomeno figlio dell'elevato degrado sociale e culturale che invade giorno dopo giorno le strade di periferia  delle nostre città?
Quale soluzione alla dispersione scolastica? Un tema caldo, dalle mille problematiche, su cui l'attenzione di tutte e tutti non deve mai, e dico, mai venir meno.



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