La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Ma che fai?

Ehilà, sì, dico proprio a te, ma che fai? 

Scrivo.

Tu, scrivi?
Scrivo.
Scrivo per la democrazia che non c'è,
scrivo perché vivo la follia del quando,
perché sta arrivando.
Non lo senti?
Non ti senti?
Oh ma che vuoi che sia,
io ora canto non credo e non prego.
Scrivo perché non me ne frego,
scrivo per il tuo ego,
scrivo perché devo.
Non lo vedi?
Non ti vedi?
Eppure sta ascoltando,
eppure sta osservando,
eppure sta arrivando.
Ma chi il laudato sii messia?
Non ho messia,
non ho euforia,
non ho pazzia,
non lo ascolti?
Non ti ascolti?
Tu e i tuoi pensieri assorti e mai assolti.
Ma quale assoluzione nell'era
della redenzione?
Io vivo la prigione,
cercando l'evasione
amando la ribellione.
La ribellione è la tua amante?
Nessuna amante,
nessuna poesia allegante
la follia con l'euforia,
semplice ribellione,
mia evasione.
Ma, tu, sì, dico proprio a te,
vai ancora alla ricerca dell'attimo che non c'è?
Se lo penso esiste,
perché io esisto,
dunque penso,
e non desisto e non mi arrendo,
vado, lo vedo, lo prendo.
Se proprio posso e non ti offendo,
ma cosa sta arrivando?
Chi sta ascoltando?
Chi sta osservando?
L'attimo che non c'è.
Lo cerco, lo scrivo, lo afferro,
lo sferro contro quel pezzo di ferro
arrugginito
chiamato, osannato, votato,
accanito e insignito
di onorificenze
nelle infinite
credenze
per le vie delle beneficenze
occultate
da quei visi
dai diabolici sorrisi,
che ora evitate
come la peste,
per le goliardiche feste
dove volano impiccagioni
e trovano teste
decapitate
dalle loro muse
fino a ieri lodate,
ma oggi
evitate 
ed eluse,
chiamalo con il suo nome,
senza cognome,
chiamalo capitale padrone,
che cavalca la epocale 
finzione,
e ricalca la infame repressione,
che tutti noi abbiamo conosciuto,
sappiamo quanto ha nociuto,
ed ora il mio fiuto
vive l'immenso rifiuto.
Detesto, anche senza pretesto alcuno,
l'indifferenza dell'uno, nessuno, ora qualcuno
domani certuno.



Marco Barone






































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