Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

La porta della libertà

Ho visto una porta.
Ferma ed immobile,
sospesa ed incastrata
tra le mure dell'incuria umana,
nella perdurante omologata informazione
priva di ogni ragione  d'essere libera ed incondizionata.
Quella porta è ferma.
Quella porta è incatenata.
Quella porta è sempre là.
Una catena.
La voce della ribellione
è la tenaglia
che romperà le catene
della prigionia 
di tal ignobile agonia.
Imprigionata nella prigione
del potere che pretende di ammaliare
la ragione,
per governar la nave del sistema
per le tempestose acque
di una società giunta
al bivio dell'esistenza.
O ribellione,
o prigione.
A noi la scelta.
E la porta ferma ed immobile
è sempre là.
La guarderai,
la sfiorerai,
la libererai.

Marco Barone

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