Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

NUCLEARE Inutile, dannoso e costoso ambientalisti si mobilitano

Dodici miliardi di euro in vent'anni. E' quanto in Italia è stato speso dalla chiusura delle centrali nucleari ad oggi. Soldi utilizzati esclusivamente per gestire le scorie radioattive. E che non hanno finanziato né nuove ricerche su energie rinnovabili né la costruzione di un deposito unico nazionale. La denuncia è contenuta in un dossier presentato dai Verdi in occasione del 24° anniversario del disastro di Chernobyl: "L'Italia paga per il nucleare che non ha". E riparte la mobilitazione ambientalista. Per Legambiente "la scelta del governo di far ritornare il nucleare in Italia è rischiosa e sbagliata". E sul deposito nazionale di scorie crescono le preoccupazioni in merito all'ipotesi di costruirlo nell'area del Garigliano, tra la provincia di Caserta e quella di Latina. "Proprio in quella zona, abbiamo già avuto la nostra piccola Chernobyl".

Il dossier dei Verdi. Novantamila metri cubi di rifiuti tossici e radioattivi. A tanto ammonta il lascito delle centrali nucleari italiane, chiuse nel 1990. Un'enorme quantità di scorie sparse in tutto il Paese. Una bomba ecologica non ancora disinnescata che lo Stato sorveglia al costo di 500 milioni di euro l'anno. Soldi, naturalmente, pubblici. Sessantacinquemila tonnellate di questi rifiuti di seconda e terza categoria "provengono dalle centrali in dismissione". Per completare il quadro, bisogna aggiungere "una produzione annuale di 1.000 metri cubi di scorie provenienti da usi medici e industriali". E le scorie non invecchiano. La loro pericolosità è quasi permanente. "Quelli di seconda categoria sono rifiuti pericolosi per circa 300 anni mentre quelli di terza rimangono carichi di radioattività anche per 250mila anni".

L'accordo con la Francia. Al centro delle polemiche, l'accordo che il governo italiano ha sottoscritto con la Francia 1 per la costruzione di reattori nucleari. E Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, ha un sospetto: "Con Parigi potrebbero esserci altri accordi, riservati, per la costruzione di armi atomiche". Anche Legambiente critica la scelta del governo. Affidando le proprie motivazioni a uno studio condotto sulla tecnologia nucleare francese. Quella che l'Italia dovrebbe importare. E l'EPR, la sigla che identifica il reattore d'oltralpe, viene definito "un bidone".

Verso un Comitato Nazionale Antinucleare. Le associazioni ambientaliste sono al lavoro per mettersi in rete. La cornice ideologica è indicata in un documento, sottoscritto, tra gli altri, da Wwf, Italia Nostra, Greepeace e Legambiente. Nel testo vengono elencati i motivi che rendono la svolta nucleare "inutile e pericolosa": autosufficienza energetica già raggiunta, costi eccessivi del nucleare, scarse prospettive di impiego. E poi, il nucleare non ridurrebbe la dipendenza energetica dell'Italia, perché "dovremmo importare uranio, tecnologia e brevetti".

La piccola Chernobyl sul Garigliano. L'ipotesi di costruire il deposito nazionale di scorie nell'area del Garigliano, è molto discussa. Anche perché, ricorda il dossier dei Verdi, la zona è già stata interessata da alcuni incidenti. Una lunga e agghiacciante sequenza. Che parte dalla metà degli anni '70. E che si svolge nella centrale nucleare di Sessa Aurunca, provincia di Caserta. Nel dicembre 1976 "il fiume Garigliano in piena, entra nel locale sotterraneo raccogliendo oltre un milione di litri d'acqua contaminata". Un incidente analogo si verifica nel novembre del 1979. Poi passa un anno. E nel novembre del 1980 "le piogge abbondanti penetrano nella centrale. E fuoriescono nel fiume portandosi dietro cesio 137". Due anni dopo "un contenitore su rimorchio ferroviario da Roma perde per strada 9.000 litri di acqua con cobalto 58, cobalto 60, e manganese 54". E per il dossier sono documentabili, nel 1972 e nel 1976, due esplosioni dei filtri del camino centrale.

Incidenti che "hanno contaminato fiumi e terreni. E 1700 chilometri quadrati di mare, come certificano studi condotti dall'ENEA tra il 1980 e il 1982", dice Giulia Casella, presidente del circolo Legambiente di Sessa Aurunca. Che, in merito all'ipotesi di costruire sul Garigliano il deposito nazionale di scorie, dice: "Si tratta di un'ipotesi sciagurata. L'area è inadatta dal punto di vista idrogeologico. E non lo diciamo noi. Lo attesta un documento del governo del 1985".
http://www.repubblica.it/ambiente/2010/04/27/news/nucleare_verdi-3659605/

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