Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

L'uomo seduto sullo scalino di via Irnerio



Passeggiando per le vie finite di Bologna , città assopita, città imprigionata nel proprio caldo e passionale passato , città dove la natura ogni giorno offre faticando allo sguardo dell'uomo un tocco di energia vitale, città ove pensieri ed illusioni si fondono nel grande sogno di una nuova vera Bologna rossa viva calda , la mia attenzione viene catturata e rapita dall'uomo seduto sullo scalino di via Irnerio.
Intorno al mio essere scorrono tante persone robotizzate, tante auto ,moto, biciclette, sogni infranti sogni nascenti. Alberi vivi che sopravvivono ai pensieri limitati e si congiungono con l'orizzonte dove il sole tramonta per poi sorgere ancora, insieme alla lunga ringhiera di ferro che costeggia il viale sul quale mi trovo sembrano fungere da cornice a quel quadro triste che si poneva d'impeto come un fruscio di vento innanzi a me.
Vedo le mani di quell'uomo poggiarsi lentamente sul suo capo, tutto con una lentezza cosi incredibilmente vera che il tempo non tempo ha risucchiato nella immensità di quel momento tutta l'aria che i miei polmoni stavano respirando.
Le sue gambe stese sugli scalini, il suo giubotto poggiato sugli scalini, la sua persona abbandonata nella desolazione di questo mondo asociale.
Fumo la mia quotidiana momentanea sigaretta, i pensieri scorrono ma sono come impressi scalfiti nella crosta di quella montagna che si poneva sul mio cammino. Montagna che ho iniziato a scalare allontanatomi da quell'uomo chiuso ed imprigionato nella sua mente.
Percorso il tragitto che mi ha condotto in cima alla montagna ho compreso ancora una volta la bellezza della vita e la desolazione e disperazione di quell'uomo seppur nel momento triste ha offerto al mio essere ancora una volta una grande infinita prospettiva di visione...vedo l'uomo, vedo la vita non vita, vivo ora grazie al più bel fiore mai regalatomi da madre natura l'essenza della esistenza, ho offerto con il mio pensiero a quell'uomo pensiero di positività che spero il vento, il vento,,,il vento abbia condotto su quelle mani poggiate sul suo capo.
All'improvviso l'uomo si alza, si guarda intorno, il suo sguardo si concentra sulle foglie dell'albero che lo proteggeva dalla falsità di questo mondo, e si incamminava verso una nuova vita...l'unica vita.
Marco Barone

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