Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Roma, dove i Rom muoiono ancora nei roghi

Circondati da odio e pregiudizi, i Rom continuano a morire nei roghi, come nel Medioevo. A volte li uccide la povertà, che li costringe a riscaldarsi, in inverno, con metodi pericolosi: vecchie stufe, candele, fornellini ad alcol.


A volte la mano di un razzista. Ieri sera una persona di etnia Rom* ha perso la vita a Roma, dove viveva in una baracca sull'Ardeatina, già teatro di azioni di pulizia etnica istituzionale e di azioni di intolleranza da parte di gruppi neonazisti.

I Rom di un accampamento vicino hanno chiamato i carabinieri. Le assi dell'abitazione di fortuna hanno preso fuoco per cause che le autorità ci spiegheranno come incidente dovuto a incuria. Li uccidono la disperazione, l'indifferenza, il sadismo. I vigili del fuoco sono intervenuti alla 22. Hanno trovato due brande, nella baracchina. Su una di esse giaceva il corpo della vittima, quasi completamente carbonizzato.

L'incendio segue quello avvenuto l'11 dicembre scorso, sempre a Roma, in via Candoni. Le fiamme hanno raggiunto e distrutto 40 baracche. Successivamente diversi roghi sono stati spenti dagli stessi Rom in insediamenti più piccoli, mentre nelle prime ore del mattino del 21 dicembre scorso, nel campo di via della Martora, le fiamme hanno ustionato alcune persone e distrutto 70 baracche; solo il coraggio di un giovane Rom, che ha aiutato molti dei suoi fratelli a uscire indenni dalle baracche in fiamme ha potuto evitare il peggio.

Contemporaneamente le fiamme sono divampate anche in un insediamento Rom a Montemario. Otto baracche sono andate distrutte insieme agli oggetti di sopravvivenza dei Rom. "Non so se si tratti di attentati o di incidenti domestici," afferma Albert, Rom romeno, "quello che so è che le autorità vengono a spiarci, anche di notte, e continuano a distruggere le nostre baracche e le nostre stufe. Le discariche hanno ricevuto l'ordine di non fornire ai Rom materiale da costruzione e di conseguenza costruire ripari solidi e sicuri, con sistemi di riscaldamento non pericolosi è ormai impossibile. Nonostante le giornate che dedichiamo a ricostruire in posti sempre più nascosti le nostre baracchine, è sempre meno facile reperire i materiali adatti.

Vivere al freddo vuol dire morire, a certe temperature, ma anche scaldarsi con l'alcol etilico è un grande rischio". Questa è Roma, dove pare che un nuovo Erode sia risorto, per dare la caccia con i suoi volenterosi carnefici alle famiglie Rom. Quando una persona Rom, per un vero miracolo, se si considera l'antiziganismo in Italia, riesce a trovare un lavoro, risulta poi difficile che trovi un'abitazione in possesso dei requisiti di abitabilità e che gli consenta quindi di avere le residenza. Intanto, fioccano le espulsioni, basate su reati come l'accattonaggio molesto, gli schiamazzi, la resistenza e l'oltraggio a pubblico ufficiale: gli stessi crimini che i nazionalsocialisti "inventarono" per bollare Rom e Sinti come "asociali" e quindi perseguitarli.

Altre cause di espulsione prefettizia sono le condizioni di povertà e la mancanza di mezzi di sussistenza, considerate dalle autorità la prova inoppugnabile per cui la persona Rom viva di attività delittuose.


*Si chiamava Andreia, era una ragazza Rom di 18 anni. Qui di seguito, un articolo dal Corriere di oggi, 28 dicembre 2008, con un'incredibile dichiarazione del sindaco Alemanno, che finge di ignorare la condizione di povertà ed emarginazione in cui vivono i Rom e dice: "Si tratta di persone che vivono di piccoli lavori che per non pagare gli affitti si attrezzano in questa maniera".

Per non pagare gli affitti, non perché sono vittime della più feroce persecuzione etnica del nostro tempo, braccati e scacciati da ogni riparo, in pieno inverno e con le temperature sottozero, come ratti o scarafaggi.


http://roma.corriere.it/

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