Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Il sogno di Hitler, quello della Lega e la Lista di Mihai

del Gruppo EveryOne


Milano, 29 ottobre 2009. L'altro ieri, l'assistente di un leader politico notoriamente intollerante e già condannato per istigazione all'odio e per violenza razziale, ha scritto al Gruppo EveryOne - per conto dello stesso leader - criticando le accuse che rivolgiamo ai movimenti che inneggiano alla pulizia etnica nel Nord Italia: "Dovreste conoscerci meglio, prima di scrivere. Comunque, le accuse di razzismo che ci rivolgete non corrispondono a verità".


E' come se il più grosso e feroce dei gatti randagi negasse di aver mai dato la caccia ai topi ed è uno dei più gravi problemi che gli antirazzisti si trovano quotidianamente ad affrontare: aguzzini e persecutori riescono a creare per giustificare le proprie atrocità alibi talmente sofisticati da finire per convincersene realmente, dormendo sonni tranquilli anche dopo aver commesso azioni di una disumanità efferata. "Noi razzisti?" chiedono esterrefatti i sindaci-sceriffi quando si critica la loro politica contro le minoranze etniche.


Persino il vicesindaco di Milano, De Corato, rispose qualche tempo fa a Gianfranco Fini, che in nostra presenza gli aveva chiesto di usare umanità con una famiglia Rom perseguitata - famiglia distintasi fra l'altro per meriti civili - che "Milano non è intollerante, ma fa solo rispettare la legalità. Noi non combattiamo i diseredati, ma li aiutiamo ad integrarsi".


Incredibile! Eppure De Corato è riuscito a persuadere persino la propria coscienza della liceità delle politiche milanesi contro le etnie, i gruppi e le razze di minoranza. Naturalmente, poi, nessun aiuto è stato fornito alla famiglia, che è invece ancora assistita da privati cittadini e vive circondata dall'intolleranza promossa dalla politica meneghina: quella di destra con i fatti, quella di sinistra con proclami agghiaccianti.


"Se questo è un uomo..." si chiedeva Primo Levi. Ma questo, purtroppo, è l'uomo. Poco prima di morire, assassinato dalla politica razzista della città di Pesaro, il vecchio e saggio Rom Mihai aveva detto a un attivista che "noi Rom dovremmo scrivere una lista con i nomi di tutti quelli che ci fanno del male, perché non sia dimenticato quello che stiamo passando".


La scriveremo e la terremo sempre aggiornata, con l'aiuto dei fratelli Rom, la "Lista di Mihai". Lo dobbiamo alla sua memoria. Riguardo ancora al "doping" con cui i razzisti italiani anestetizzano al propria coscienza, rendendola insensibile all'orrore e incapace di provare le "debolezze" dell'umanità e della solidarietà, un esempio di questa (terribile) capacità insita negli esseri umani viene da un uomo che è morto proprio oggi, 29 ottobre 2009, all'età di 96 anni.


Si chiamava Fritz Darges ed era l'ultimo assistente personale di Adolf Hitler ancora in vita. Qualche anno fa, rispondendo a un giornalista di Bild, Darges affermò di non provare alcun rimorso. "Ripeterei ogni azione compiuta durante gli anni del Terzo Reich," disse, "perché il nostro sogno era quello di costruire un grande impero tedesco".



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