C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Ecco chi ha fatto i debiti. E li paghiamo noi

Simonetta Lombardo terranews
Ottocentomila euro di multe europee per l’Italia che non rispetta i limiti di emissione? Errore e, soprattutto, voluta disinformazione. Si tratta di soldi che una parte del sistema industriale deve destinare al pagamento dei crediti di emissione. In altre parole, denaro che va a comprare “licenze” di emissione di gas serra presso le industrie, italiane o europee, che hanno diminuito oltre i tetti fissati per legge il loro consumo di energia e quindi la produzione di anidride carbonica. Se questo è il meccanismo, le industrie che si stanno facendo del male - e lo stanno facendo ai consumatori - hanno nomi e cognomi precisi. Si chiamano Edison, Enel, Saras, Eni e Tirreno Power. Per legge, nel 2008 Edison poteva sparare in aria poco più di 14 milioni di tonnellate di CO2 e altri gas che fanno alzare la febbre del pianeta. Ne ha prodotte quasi 23 milioni.

Enel era riuscita a patteggiare per se stessa, con tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, una quota di emissioni di 42,4 milioni di tonnellate e invece ne immette in atmosfera esattamente due milioni in più, 44,4 milioni di tonnellate. Saras di Gian Marco Moratti (raffine-ria di Sarroch, in Sardegna) aveva un permesso per 2,6 milioni di tonnellate, mentre ne emette più del doppio, 6,2 milioni: Eni sfora di un milione di tonnellate (7,8 contro 6,7) e Tirreno Power di sole 300mila. «Complessivamente le industrie italiane hanno superato i permessi di emissione per 9 milioni di tonnellate di CO2, ma bisogna fare dei distinguo», spiega Francesco Tedesco, responsabile campagna Energia e clima di Greenpeace che ha reso nota la lista dei pirati.

«Lo sforamento si deve solamente ai settori del termoelettrico e della raffinazione. Altri settori, invece, hanno rispettato i tetti», anche se - probabilmente a lavorare è stata più la crisi che gli impegni in efficienza energetica. A far crescere la bolletta che il sistema industriale italiano dovrà pagare, insomma, sono aziende che non hanno rispettato le regole in primo luogo quelle che hanno utilizzato e - complice il governo Berlusconi - ancor più utilizzeranno il carbone. La gran parte della produzione di anidride carbonica dell’Enel è dovuta alla centrale elettrica di Brindisi, un mostro che sforna 15 milioni di CO2 l’anno, un terzo della produzione dell’azienda. A luglio, il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera alla trasformazione a carbone della centrale di Porto Tolle.

Così, il tetto di emissioni che nel 2008 era complessivamente di 211 milioni di tonnellate per i sei settori interessati dalla direttiva europea (e se ne sono prodotte 220), nel 2009 scende a 203. Su questo il governo italiano chiede “l’aiutino” ulteriore, proclamando di essere legato a un «accordo ingiusto », come ha ripetuto ieri il ministro Stefania Prestigiacomo rispondendo alle domande di Terra a margine di un convegno. «Il sistema delle emission trading - sostiene Prestigiacomo - ha dato più quote a chi inquinava di più e non a chi, come noi, era un Paese virtuoso ». Ma non dovrebbero pagare le imprese e non il “Paese”? «C’è la possibilità che il governo intervenga con un fondo». Oltre che in bolletta, pagheremo con le tasse le inadempienze dei produttori di elettricità e petrolio.

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