Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

L'ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI VIA D'AMELIO LO CELEBRANO I MAFIOSI




Società(30/07/2009) da: http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=44095&idsezione=3

E così, in quel di Palermo, accade che lo Stato sfratti la Legalità e la Giustizia dalle sue aule più nobili e costringa i fedeli servitori a stendere i tappeti rossi per far posto ai mandanti degli omicidi di Falcone e Borsellino.. (ImgPress, 27/07/2009)

Passata 'a festa, gabbato 'o santo. Vecchio adagio popolare che ben smaschera l'ipocrisia borghese di chi, in abiti di festa, si genuflette devoto a santi, madonne e mammasantissime per poi, smessi gli stessi, smentire tutti i pii propositi. Un adagio sempre valido, soprattutto nell'Italia che il mai abbastanza compianto Sylos Labini definì illo tempore serva. Ma che, purtroppo, viene smentita quando si approda alle commemorazioni di stragi e omicidi mafiosi. Perché in questo caso il santo non viene gabbato passata 'a festa, ma durante.

Nel caso di Paolo Borsellino, così come Giovanni Falcone, abbiamo così visto negli ultimi anni incitare la società civile e gli Italiani a ricordare e portare avanti il loro esempio personaggi come Dell'Utri che definì il mafioso Mangano un eroe, Lunardi che affermò che con la mafia bisogna convivere, La Russa che dichiara guerre in violazione della Carta Costituzionale (lo stesso La Russa che, negli Anni Settanta partecipò ad un corteo della destra da cui partì la molotov che uccise un carabiniere, e oggi manda l'esercito nelle strade), Cuffaro che ha festeggiato la condanna a 5 anni con laute donazioni di cannoli siciliani, Micciché che definì l'intitolazione dell'aeroporto di Palermo ai due giudici 'triste', Cossiga il gladiatore che, meno di un anno fa, chiese di massacrare sulle strade giovani professori e studenti dopo aver opportunamente infiltrato le proteste con devastatori provocatori . E l'elenco potrebbe continuare.

Ma, quest'anno, escluso Napolitano, tutta questa brava gente è rimasta in silenzio. Quest'anno la commemorazione l'hanno celebrata direttamente loro: Totò Riina e Massimo Ciancimino. Il primo, accusando lo Stato di aver ucciso Borsellino e di tramare congiure contro di lui (da 15 anni la solita manfrina). Mentre il secondo è tornato a millantare il papello del padre. Un papello che da oltre un decennio attraversa la cronaca italiana senza mai comparire (nonostante annunci e proclami) creando, ormai, serissimi dubbi sulla sua esistenza (ammesso e non concesso che ci si potesse credere all'inizio). In tutti, tranne che in Marco Travaglio che, sulle colonne de L'Unità, è tornato a descrivere trame su trame intorno ad una trattativa Stato-Mafia nel 1992. Trame nelle quali torna a coinvolgere i suoi cavalli di battaglia, Mori, Ultimo e il covo di Totò Riina. Qualcuno, se ci legge dalle parti de L'Unità, La Repubblica, Micromega o AnnoZero per favore gli faccia pervenire la trascrizione del processo, se serve mi offro io di portargliele a mano. Non è possibile che, ogni volta che ci torna su, Travaglio sposti indietro di qualche anno il processo a Mori e Ultimo! Giorni fa siamo arrivati ad averlo celebrato dieci anni fa, tra poco l'avremo celebrato mentre Riina veniva concepito dalla mamma e dal padre!

I mafiosi, i potenti e i doppiogiochisti in doppiopetto sono persone complicate e grigie. Loro tessono trame ardite e intricate. Noi, invece, siamo gente semplice. E allora, tanto per chiarire, non lanciamo la penna in pindarci voli. Ci accontentiamo della lineare semplicità dei fatti. E, allora, questi sono i personaggi di questa vicenda italica. Dove le parole dei mafiosi influenzano il corso della storia e chi li arresta è un delinquente.

La nostra storia comincia con un Anonimo impiegato del Comune di Palermo. Paolo Borsellino chiese che venisse impedita la sosta delle auto nei pressi della casa materna. La richiesta non fu mai accolta e una FIAT 126, lì parcheggiata ed imbottita di 100 kg di tritolo, segnò la fine della vita di Borsellino e della sua scorta.

Pochi minuti dopo l'arrivo degli agenti il Capitano dei Carabinieri Arcangioli si allontanò da via D'Amelio portando con sé la borsa del magistrato. Borsa che, secondo la famiglia e i colleghi di Paolo, conteneva l'agenda rossa dove annotava le considerazioni più private sulle sue indagini e colloqui.

Mezz'ora dopo l'arresto di Riina, tutta la stampa sapeva la strada dove si trovava 'il covo' di Riina (che poi covo non era ...). I giornalisti ringraziano il Maggiore Ripollino.
Importante per la cattura di Riina fu il ruolo di Vittorio Aliquò, procuratore aggiunto di Palermo. La sua astuzia e perspicacia costrinse Ultimo a dimezzarsi la squadra per sorvegliare Fondo Gelsomino, un luogo sperduto e disabitato di Palermo, dove era impossibile ci fosse alcunché. Lo stesso Aliquò nel processo contro Ultimo e Mori produsse un diario, rivelatosi falso (Ingroia lodò Aliquò per la scrupolosa e minuziosa cronaca).

Dopo l'arresto di Riina le qualità di Ultimo furono abbassata da eccellente a superiore alla media. Il Crimor, la squadra di Ultimo, fu poi smembrata e molti dei suoi componenti mandati in giro per l'Italia a fare multe. Il responsabile fu Sabatino Palazzo, generale dei Ros. Accusato, negli anni successivi a Pozzuoli, di reati quali corruzione, falso, favoreggiamento aggravato e abuso d'ufficio. Informato dell'ora, giorno e posto dove poteva trovare Provenzano, non diede alcun seguito alla segnalazione. Non ha mai risposto di questa voluta omissione. Ultimo e Mori hanno subito un processo basato sull'asportazione di una cassaforte mai avvenuta.

Dopo tanti anni stiamo ancora aspettando, invece, da Attilio Bolzoni di Repubblica che ci dica come ha fatto, pochi mesi dopo l'arresto di Riina, a scrivere un libro dove descrive minuziosamente e nei dettagli la trattativa e la consegna del boss. Record da premio Pulitzer a vita se non fosse che, in tribunale durante il processo a Mori e Ultimo, ha detto non ricordo, non ho riletto il libro. Avrebbe realizzato lo scoop del secolo e non ricorda cosa ha scritto!

Molto più onesto Saverio Lodato che, negli anni è stato uno dei massimi divulgatori del falso diario di Aliquò. Interrogato in tribunale si trincerò dietro l'inesperienza del 1993 e chiese scusa per aver scritto cose non vere.

E ora, in chiusura, alcune domande permettetele anche al sottoscritto.

1) Qualcuno ha mai chiesto a Francesco Cossiga (lo stesso che, pochi mesi della sua violenta morte, indicò con disprezzo Rosario Livatino come il giudice ragazzino) a cosa si riferiva nel discorso di fine anno del 1991, quando disse che il dovere sommo, e direi quasi disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di sincerita' si dovrebbe dire?

2) Mentre si continua a dare credito alle assurde e pretestuose dichiarazioni di Riina e Ciancimino, (che in una lettera a imgpress.it è arrivato a scrivere che bisogna lasciar lavorare la magistratura. Parole che scritte dal figlio di un noto mafioso hanno un sapore strano ...) c'è un Santoro o un Grillo che sia disposto a ricordare cosa nel 1992 si trovava al Castello Utveggi sul Monte Pellegrino (cioè il luogo dal quale fu azionato il detonatore della FIAT 126 che provocò la strage di via D'Amelio)?
Trascriviamo da Wikipedia: Sempre grazie alle indagini del consulente Gioacchino Genchi, infatti, si accertò la presenza di una sede coperta del SISDE sul Monte Pellegrino, che sovrasta Palermo e via Mariano d’Amelio, all’interno del Castello Utveggio che ospita il Cerisdi, un centro di ricerche e studi manageriali. La circostanza venne fuori dall’analisi del tabulato del numero 0337/962596, intestato al boss Gaetano Scotto, che chiamò un’utenza fissa del SISDE installata proprio in quel castello. Suo fratello, Pietro Scotto, per conto della società Sielte, compì lavori di manutenzione sull’impianto telefonico della palazzina di via D’Amelio. Lavori necessari, si scoprì successivamente, per intercettare abusivamente la linea telefonica della madre del giudice Borsellino e quindi ottenere la conferma del suo arrivo nel pomeriggio del 19 luglio 1992.

3) Perché, il giorno della strage di Capaci, fu detto agli ufficiali di leva di stanza a Roma che, in quel momento si trovavano fuori sede, di tenersi pronti in qualsiasi momento a rientrare?

4) Nei giorni scorsi l'allora ministro Scotti ha affermato che, in quel periodo, si rischiò il golpe da parte della mafia (cosa ben diversa dalla trattativa ...). La stagione delle stragi fuori dalla Sicilia ebbe iniziò dopo l'assassinio di Salvo Lima, politico della corrente DC di Andreotti che la mafia non considerava più utile come esecutore politico, e si concluse con la mancata strage dell'ottobre 1993 allo stadio Olimpico di Roma durante Lazio - Udinese. All'ultimo momento la bomba non esplose. Da quel giorno il silenzio fuori dalla Sicilia. Cosa era cambiato dal giorno della morte di Lima all'ottobre 1993. Perché il rischio di golpe rientrò?

In chiusura mi permetto di sottoporvi lo scambio articolo-epistolare tra Antonella Serafini, collaboratrice tra gli altri di Riccardo Orioles (memoria storica dell'antimafia, avendo collaborato in passato con Mauro Rostagno, Pippo Fava e Peppino Impastato, e oggi animatore di moltissimi gruppi di denuncia antimafia), e Massimo Ciancimino. Antonella ha scritto alcuni articoli sul suo sito Censurati.it. Ciancimino ha risposto con due lettere all'agenzia stampa imgpress.it. I fatti narrati e le opinioni espresse sono facilmente verificabili su decine di siti e blog ufficiali.



http://www.peacelink.it/sociale/a/30008.html

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