La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

4 luglio 2009 a Vicenza, restituiamo il Dal Molin ai cittadini Indipendenza, dignità, partecipazione: la terra si ribella alle basi di guerra.


Sono tre anni di mobilitazione quelli che abbiamo alle spalle; un tempo lungo e al contempo breve durante il quale la nostra mobilitazione ha imparato nuovi linguaggi, è cresciuta nella consapevolezza e nella determinazione, ha saputo mettere insieme le tessere di un puzzle complicato quanto ampio che parte da un prato a nord di Vicenza per abbracciare l’intero mappamondo.

Scendere in piazza contro la costruzione di una nuova base militare significa guardare alla propria città e al globo; intersecare la necessità di fermare la guerra con la voglia di partecipare alle scelte che riguardano la nostra quotidianità; rifiutare una colata di cemento e costruire strumenti di valorizzazione e difesa dei beni comuni.

NoDalMolin significa un altro mondo possibile. Significa dire basta al massacro della guerra rifiutandosi di ospitare nel proprio giardino strumenti di morte e distruzione; rivendicare la propria dignità di uomini e donne che non accettano di far decidere ad altri il proprio futuro e che respingono con la propria determinazione l’arroganza di chi vuol governare con l’imposizione; costruire nuove forme di convivenza comunitaria dove a determinare le relazioni non sono gli indici di borsa, ma la cooperazione e la condivisione; guardare i prati e i corsi d’acqua, le strade e i quartieri con la consapevolezza che questo territorio, fragile e limitato, ci è stato dato in prestito dalle generazioni che verranno dopo di noi.

All’Aquila si riuniranno ancora una volta coloro che si sono proclamati i grandi della terra. «Laddove fanno il deserto – scriveva Tacito – lo chiamano pace»; parole drammaticamente reali anche nel XXI secolo, a cui bisogna aggiungere, quantomeno, che laddove fanno un disastro ambientale, lo chiamano sviluppo. E lo fanno riempendosi la bocca di un concetto nobile quanto calpestato, quello di democrazia.

Tornare in strada contro la realizzazione del progetto militare statunitense significa dichiarare la propria indipendenza rispetto a tutto questo: non vogliamo più essere legati alle catene del dominio e della guerra, non vogliamo più accettare i mattoni e il cemento che arricchiscono pochi, non vogliamo più essere sudditi di chi crede di governarci col comando e l’imposizione.

Vogliamo scrivere di nostro pugno la quotidianità. Il nostro linguaggio è la partecipazione; si articola in forme dialettali che variano dalla Val di Susa all’Abruzzo, dalla Selva Lacandona alla foresta peruviana; ma è, anche, un idioma internazionale, con il quale una moltitudine di comunità scrive, giorno dopo giorno, la fiaba delle donne e degli uomini che non si arrendono, non accettano, si ribellano. E che, come ogni fiaba che si rispetti, non potrà che avere, prima o dopo, un lieto fine.

Il 4 luglio, dunque, scriviamo una pagina d’indipendenza. Indipendenti dalle basi di guerra per essere indipendenti di costruire il nostro futuro, insieme: è per questo che vogliamo liberare la nostra terra.

Appello adesione manifestazione:
Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo [...] un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. [Incipit alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America]

Vogliamo essere indipendenti nel costruire il futuro del nostro territorio; vogliamo che quest’ultimo sia sensibile alle opinioni di gran parte dell’umanità che rifiuta e, troppo spesso, subisce la guerra come strumento di controllo e oppressione. Vogliamo costruire l’Altrocomune come pratica di autogestione e autonomia dei cittadini, fondandolo sulla disobbedienza alle imposizioni e sulle pratiche condivise; vogliamo riprenderci la nostra terra come luogo del vivere bene collettivo e non come oggetto di scambio tra governi.

Dall’8 al 10 luglio, all’Aquila, si terrà il vertice del G8; in un luogo volutamente scelto perché non ci siano voci di dissenso, capi di stato e di governo si riuniranno per decidere le sorti del nostro futuro, senza di noi. Tra essi, ci sarà il Presidente statunitense Obama: come si giustificano le sue promesse sulla fine dell’arroganza militare statunitense quando a Vicenza fa base la guerra?

La vicenda vicentina rappresenta, da questo punto di vista, una delle tante contraddizioni nella politica estera statunitense che promette legalità, rispetto e trasparenza, ma pratica illegalità, sopruso e imposizione. Come annunciato da importanti esponenti dell’amministrazione nordamericana, il Dal Molin sarà oggetto di discussione del summit al G8, non per restituire la democrazia a coloro a cui è stata negata, bensì come oggetto di accordo segreto e scambio tra governi per la ridefinizione, a partire da Africom, della presenza militare statunitense in Italia.

Vicenza, patrimonio Unesco, è assoggettata alle servitù militari; la città che ha espresso la propria netta opposizione e ha ricevuto per questo la solidarietà di ogni angolo d’Italia, ha visto il bavaglio stringersi sulla sua bocca: palesi illegalità progettuali hanno accompagnato il tentativo di "sradicare alla radice il dissenso locale" prima impedendo alla città di esprimersi, poi perseguendo centinaia di cittadini con condanne pecuniarie e procedimenti penali.

Ma Vicenza è anche uno dei tanti luoghi di costruzione di quel mondo che non accetta il diktat di quanti, riuniti per pochi giorni nelle regge imperiali, vorrebbero scrivere a tavolino la nostra storia. Quello del movimento vicentino non è un romanzo romantico e triste; le donne e gli uomini di questa città vogliono riscrivere la storia reale, stracciando le pagine su cui politici e militari hanno già disegnato il suo futuro di asservimento e tacita accettazione.

Il 4 luglio, giornata in cui gli statunitensi festeggiano la propria indipendenza dall’impero britannico, vogliamo decretare la nostra indipendenza dall’impero militare statunitense, liberando la terra dalla presenza di una nuova base di guerra.

Nei tre anni di mobilitazione trascorsi abbiamo imparato che un sol giorno non cambierà le sorti della nostra città; ma sappiamo anche che la strada che abbiamo davanti non può che portarci a nuove sfide: per questo, alla vigilia del vertice del G8 e dell’arrivo in Italia di Obama, chiediamo alle donne e agli uomini che vogliono opporsi alla militarizzazione e alla guerra di tornare nelle strade di Vicenza e iniziare a costruire, dal basso e collettivamente, l’indipendenza dell’Altrocomune, ovvero un territorio libero e inospitale alla presenza militare perché vissuto e realizzato da un arcobaleno di diversità che, nel costruire un mondo di pace, liberano il territorio dalle servitù militari e dalle devastazione ambientale.
4 luglio 2009 a Vicenza, restituiamo il Dal Molin ai cittadini
Indipendenza, dignità, partecipazione:
la terra si ribella alle basi di guerra.Per info e adesioni: 4luglio@nodalmolin.it

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