Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

appello alla società civile a sostegno della famiglia Masciari




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In esilio. Come in carcere, privato della libertà, ma da innocente. Costretto all’attenzione maniacale, ferito nella dignità di cittadino, onesto e fedele alla Repubblica. La storia di Pino Masciari è l’emblema della debolezza dello Stato, cioè dei cittadini, di tutti noi. Con moglie e bambini, è obbligato da dodici anni a stare lontano dalla sua terra, ufficialmente per colpa della ‘ndrangheta, armata e minacciosa da impedirgli il rientro nella sua terra.
Queste sono le conclusioni della Commissione centrale di Protezione presso il Ministero dell’Interno. Nel 2004, l’organo istituzionale ha deliberato di «non autorizzare il rientro del testimone di giustizia Masciari Giuseppe e del suo nucleo familiare nella località di origine» e di «non attribuire al provvedimento alcuna classifica». Ad oggi, lui e i suoi familiari vivono nell’incubo che le ‘ndrine si vendichino da un momento all’altro. Gli uomini della ‘ndrangheta sono sanguinari, in agguato quando tutto tace. E sul caso Masciari c’è un silenzio troppo pericoloso, irresponsabile, forse complice. Il silenzio della sufficienza, dell’abbandono, dell’ipocrisia. I suoi bimbi, che vanno a scuola senza scorta e coi loro veri nomi, hanno meno diritti degli altri? La moglie deve continuare ad avere una “quota rossa”?
Con coraggio e senso della legalità, perdendo le sue aziende e le sue radici, ma non l’identità anagrafica, Masciari ha denunciato ‘ndranghetisti e collusi, poi condannati dalla giustizia. Tra questi, Nicola Arena, appartenente all’omonimo clan, di recente passato alla cronaca perché penetrato di prepotenza in Lombardia e in Emilia Romagna. Affari e profitti colossali degli Arena, ottenuti con sistemi militari e sporchi della ‘ndrangheta, sono stati scoperti dai magistrati dell’antimafia, che hanno arrestato affiliati e sequestrato beni milionari. Al Nord.
Eppure, nonostante che il Tar del Lazio abbia dato ragione a Masciari – che aveva rivendicato la necessità d’una piena sorveglianza anche per riprendere con i familiari una parvenza di normalità – lo Stato non gli assicura, di fatto, un’esistenza libera e dignitosa. I Masciari non godono delle libertà fondamentali della Costituzione, che la stessa riconosce e garantisce in quanto princìpi.
È nostro dovere intervenire, parlare, agire, impedire che si compia un massacro ampiamente annunciato. È nostro dovere, delle istituzioni, della politica, della stampa, della società civile, aiutare i Masciari a vivere in libertà, sicurezza e serenità. Devono poter respirare, progettare, sorridere. Senza ritrovarsi ancora a fronteggiare in diritto quello Stato servito con la loro testimonianza, con il loro sacrificio. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza alla famiglia Masciari, rivolgendoci alle coscienze di tutti, prima che a gradi, ruoli e funzioni dello Stato. Cessi definitivamente il silenzio e finisca il loro esilio. Non possono più rimanere sotto pressione, in lenta e terribile agonia.

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